Estratto dell'articolo di Giovanni Bianconi per il “Corriere della Sera”
Il cold case del terrorismo italiano riaperto dopo quasi mezzo secolo rischia di rimanere senza soluzione per via di una sentenza scomparsa. Probabilmente persa a causa di un’alluvione.
Ostacolo insuperabile per la difesa e invece ininfluente per l’accusa, che chiede di autorizzare nuove indagini su ciò che avvenne il 5 giugno 1975 alla cascina Spiotta, sulle colline in provincia di Alessandria, dove le Brigate rosse tenevano in ostaggio l’industriale Vallarino Gancia; lì furono sorprese da una pattuglia dei carabinieri, ne nacque un conflitto a fuoco in cui morirono l’appuntato Giovanni D’Alfonso e l’aspirante guerrigliera Margherita Cagol, che con il marito Renato Curcio e pochi altri aveva fondato l’organizzazione armata già responsabile di omicidi e rapimenti, e di lì a tre anni avrebbe sequestrato e ucciso — il 9 maggio 1978 — il presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro.
Nella sparatoria della Spiotta furono gravemente feriti il tenente Umberto Rocca e il maresciallo Rosario Cattafi, mentre l’appuntato Pietro Barberis restò illeso. Un altro brigatista riuscì a fuggire, e la sua identità è rimasta sempre sconosciuta. Ci furono un paio di sospettati prosciolti, poi nessuno se ne occupò più sul piano giudiziario. Nei libri di storia sono comparse solo ipotesi che non hanno mai trovato conferma finché adesso, a 48 anni dai fatti, la Procura di Torino ritiene di aver individuato il terrorista misterioso in Lauro Azzolini, già componente del comitato esecutivo delle Br, arrestato a ottobre del ’78, condannato per il caso Moro e altri delitti, dissociato e tornato libero a pena scontata, che a ottobre compirà ottant’anni.
Sulla base di 11 sue impronte digitali individuate dai carabinieri del Ris sul «memoriale» (completo di disegni per illustrare i luoghi e la dinamica) relativo ai fatti della Spiotta che il brigatista superstite redasse all’epoca e consegnato a Curcio, Azzolini è stato iscritto sul registro degli indagati con l’accusa di omicidio, ma c’è un problema: è uno dei brigatisti già inquisiti e prosciolti con una sentenza emessa dal giudice istruttore il 3 novembre 1987. Ora i pubblici ministeri Diana de Martino (della Procura nazionale antimafia e antiterrorismo), Emilio Gatti e Ciro Santoriello (della Procura di Torino) hanno chiesto di revocarla sulla base degli elementi raccolti con le nuove tecniche investigative, solo che non si trova.
IL CADAVERE DI MARA CAGOL DOPO IL BLITZ PER IL RAPIMENTO GANCIA 1975
Tutte le ricerche effettuate nel tribunale di Alessandria hanno dato «esito negativo».
Come ha scritto lo scorso anno il funzionario addetto alla cancelleria, non si è riusciti a «individuare quanto richiesto attesa la risalenza temporale dei fatti nonché le condizioni dell’archivio del tribunale, a suo tempo danneggiato da eventi alluvionali».
I carabinieri del Ros, spediti a cercare la sentenza scomparsa, sono risaliti a un’unica traccia nel «registro fascicoli processuali», dove sono annotati gli spostamenti del procedimento numero 433/77. Lì è scritto che, su richiesta conforme del pm, Azzolini fu prosciolto «per non aver commesso il fatto» a fine ’87, assieme a un altro ex brigatista nel frattempo deceduto. Ma la sentenza non c’è, né tra le carte messe in salvo dall’alluvione del 1994, né tra quelle trovate ammuffite in un altro deposito
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