Gabriele Parpiglia per “il Giornale”
«Ora sono in quarantena insieme con mio fratello Fabio (Campione del mondo e oggi allenatore) e al nostro staff. Siamo a Guangzhou, nel sud della Cina. A duemila chilometri da Wuhan. E la Cina sta provando a ripartire».
Paolo Cannavaro, viceallenatore, accanto al fratello Fabio (primo allenatore del Guangzhou, ex squadra guidata da mister Marcello Lippi) è in Cina, dopo essere atterrato da Dubai.
Fabio e Paolo, insieme con i preparatori e la squadra, sono rientrati da Dubai quando il virus non era ancora esploso e lo sceicco non aveva chiuso gli Emirati Arabi. E allora perché sono in quarantena senza aver sfiorato l' Italia o l' Europa? Hanno vissuto tutto il periodo del «Covid-19» in Cina con quindici giorni di passaggio a Dubai.
Paolo ci svela come sta la Cina oggi. Tra ripartenze lente, calibrate e leggi, dure, ferree, che hanno un solo obiettivo: salvare le vite dei cittadini.
«A Dubai ci siamo trovati perché qui a causa del virus il campionato è fermo da gennaio e non sappiamo se a maggio riusciremo a ripartire. A differenze dell' Europa dove tanti calciatori sono stati contagiati, qui gli sportivi si sono salvati perché si sono attenuti alle regole del governo. In primis noi. Però la quarantena di oggi, a cui siamo sottoposti, è d' obbligo».
Eppure, voi non siete passati dall' Italia.
«Chi rientrava in Cina dall' estero è obbligato a quindici giorni di quarantena per tutelare il Paese. Stiamo combattendo questo virus da gennaio. Non dobbiamo pensare che si sconfigga in due settimane restando a casa, ci vuole tempo. Questo vale soprattutto per l' Italia. La Cina è un Paese che sa dove deve andare per risolvere questo problema e anche chi arriva da fuori deve rispettare determinate regole e sottoporsi a una procedura per il bene di sé stesso e del Paese».
Ce la spiega?
«Da Wuhan sono partite diverse persone, come è successo in Italia, e i cinesi se ne sono accorti dopo. Si suppone che a partire da Wuahn siano stati in 5 milioni. Quando sono rientrato da Dubai stavo bene. Con più di quattordici giorni in territorio arabo e un tampone fatto a Dubai che certificava la mia negatività, tuttavia sono in quarantena».
Continui.
«In aeroporto eravamo in otto, siamo passati da ben quattro controlli: siamo atterrati a Hong Kong in un' area riservata a italiani, coreani e giapponesi (i popoli più colpiti in questo momento). Da Hong Kong siamo andati in autobus fino alla dogana verso la frontiera cinese. Sempre scortati. Il mezzo è stato poi completamente disinfettato. Prima di poter entrare nello stabile della frontiera, ci è stato fatto il primo controllo medico: ci è stato chiesto da dove venivamo, se avevamo avuto contatti con persone contagiate, se in famiglia avevamo qualche positivo e hanno voluto sapere gli spostamenti degli ultimi quindici giorni. Dopodiché ci hanno fatto il tampone e ci hanno misurato nuovamente la febbre.
Abbiamo aspettato un po' di tempo per accertarci che tutto fosse ok, quindi la polizia ha controllato il passaporto. Ma, a differenza delle altre volte, questa volta il passaporto è stato vivi ezionato. Sul classico bigliettino dove è scritta la residenza, sono state aggiunte la via, il numero dell' appartamento, misure più dettagliate, insomma: il tutto scansito assieme al passaporto. Quando siamo stati dichiarati idonei, abbiamo affrontato lo step più importante: poliziotti e infermieri hanno ricostruito la nostra tracciabilità: dove eravamo stati, il numero del volo, i luoghi frequentati.
In più hanno preso il nostro Smart Phone e scansito un codice con WeChat (applicazione simile a WhatsApp in Cina): così facendo li abbiamo autorizzato a tracciare i nostri movimenti.
Non solo. Sono stati ricostruiti i miei quindici giorni precedenti quel momento per verificare le mie dichiarazioni: da quel momento ho consegnato la mia vita nelle loro mani come è giusto che sia. Ma non è ancora tutto.
Siamo arrivati, in auto, nel nostro condominio alle tre di notte. Ad attenderci il personale del residence: siamo stati fotografati e accompagnati all' interno. La mattina dopo, la polizia, assieme agli infermieri ha chiesto che mi affacciassi alla porta, mi è stato fatto un altro tampone.
Mi hanno misurato la temperatura e mi hanno lasciato il termometro, avrei dovuto inviare loro la mia temperatura mattino e sera. Se il tampone fosse risultato positivo e avessi avuto la febbre mi avrebbero condotto in uno dei centri per malati. Questa è la Cina».
Per i pasti?
«Il residence ci chiede di compilare un foglio con le nostre preferenze, possiamo chattare con il personale dei ristoranti. È tutto multimediale. Ci lasciano il pacchetto fuori dalla porta ed è la security che mi avvisa quando arriva. Il pacchetto nel frattempo è stato disinfettato. Non sto esagerando e non perché mi chiamo Cannavaro, non conta nulla il cognome o la professione. In qualsiasi condominio tu vada, da quello di lusso a quello senza il portiere, ci sono delle misure precauzionali imposte da un Paese che vuole combattere e da un popolo che vuole combattere di fianco a un Paese.
Noi abbiamo due interpreti che non sono mai rientrati a casa; sono nati i loro figli tre mesi fa e ancora non li hanno visti.
Non vanno a casa perché non vogliono rischiare per il bene delle loro famiglie. Questa è una mentalità giusta. In Cina sei educato con vari messaggi. Ai bambini sono mostrati fumetti che insegnano a contrastare il virus, e i bambini di due, tre anni hanno tutti la mascherina. Il bambino è irrequieto, non la terrebbe mai una mascherina, quindi parliamo di una organizzazione che ha detto ok combattiamola!.
Non ha detto io la combatto e voi fate come volete.
L' Italia come è vista?
«Ci sono voli diretti da Italia-Cina, moltissimi ed è normale che il contatto diretto con la Cina può aver ampliato il contagio, però in Italia ci stiamo autodistruggendo. Lo Stato qui in Cina ti sta vicino. I benefit del governo danno la possibilità di stare a casa dal lavoro tranquillo senza farsi venire attacchi di panico per eventuali tagli o licenziamenti.
L' Italia dove sbaglia?
«Il governo cinese ha annullato gli affitti per tutte le persone che vivono nelle case di proprietà del governo e dei centri commerciali e dei negozi. C' è la regola, ma c' è il buonsenso. Ha contrastato anche il business delle mascherine. Aziende che fabbricavano auto o altri mezzi mezzi ora producono mascherine. Il governo poi decide a chi e come distribuirle: venderle alle farmacie a prezzi contenuti o regalarle.
Se le mascherine destinate alle farmacie vengono vendute a un solo centesimo in più rispetto al valore reale, scatta l' arresto, la multa e l' annullamento della licenza per vendere farmaci. C' è una seria intenzione di dare aiuto ai cittadini. Oggi qui, se vuoi comprare una mascherina e in farmacia non la trovi, ti metti in fila virtuale su We Chat e quando arriva il tuo turno, ti arrivano a casa dieci mascherine in poco tempo.
Quanto siamo indietro rispetto al modello cinese?
«Tanto. In questo periodo in Cina prima di iniziare un viaggio in autostrada, andare in banca o comprare qualcosa devi mostrare che non hai la febbre».