Estratto dell'articolo di Francesco Lenzi per il “Fatto quotidiano”
È passato circa un anno da quando Javier Milei si è imposto come l’uomo nuovo della seconda economia del Sud America. […] Aveva promesso una cura shock per l’economia: tagliare con la motosega l’apparato statale, le regolamentazioni e controlli che ostacolavano la capacità di sviluppo del sistema argentino e lo avevano portato a un’inflazione a tre cifre. L’inflazione era il principale nemico da abbattere e per farlo si doveva mettere a dieta lo Stato, chiudere la banca centrale e adottare il dollaro, liberalizzare ampiamente l’economia e aprirla ai capitali esteri.
Dopo 10 mesi molte cose restano da fare e, con un Parlamento in cui il suo partito è minoranza, la completa riforma del sistema economico è stata rimandata a fine 2025, dopo le elezioni di metà mandato. In questi mesi però qualcosa è stato fatto e gli effetti si vedono. L’enorme svalutazione del peso decisa alla metà dicembre, il freno posto alla spesa dei vari ministeri che ha fatto scendere di oltre il 30% in termini reali la spesa pubblica, oltre all’aumento delle tasse, hanno spinto l’economia argentina verso un aggiustamento macroeconomico di tipo classico, in cui il miglioramento del bilancio statale ha compresso la domanda interna per consumi e investimenti, ha frenato l’attività economica e alla fine anche la crescita dei prezzi.
javier milei - poverta in argentina
Se nel primo mese di governo l’inflazione era arrivata al 25,5% mensile, come conseguenza della svalutazione, nei mesi successivi è calata e da maggio è intorno al 4%. Il dato di settembre, con il +3,5% mensile, è il livello più basso degli ultimi tre anni. Il costo di questo aggiustamento è stato il calo del 6,6% del Pil, la perdita di oltre il 10% del potere di acquisto dei salari e un tasso di povertà oltre il 50%.
[…] Ma l’inflazione è solo il segnale dello squilibrio, non la sua causa. Il problema è che l’esperienza liberista di Menem degli anni Novanta ha distrutto la base industriale e il ciclo economico del Paese, il cui export è ormai fatto solo da materie prime, agricole e minerarie, dipende dalla qualità delle stagioni e dai prezzi internazionali delle commodities.
[…] L’aggiustamento fiscale è però una soluzione costosa in termini politici e per questo è stata rimandata a dopo le elezioni: anche se non avesse vinto Massa, però, si sarebbe dovuta comunque realizzare.
Milei è intervenuto in modo drastico e il risultato è quello che ci si aspettava. La parte complicata viene adesso, perché l’inflazione non è arrivata al punto da permettere al sistema economico di recuperare competitività estera e attrarre investimenti. Con una svalutazione del peso controllata al 2% mensile e un’inflazione esterna stimata intorno allo 0,2%, anche l’inflazione al 3,5% determina una perdita di competitività estera di oltre l’1% al mese.
Ci sono voluti cinque mesi per passare dal 4,2% al 3,5% e di questo passo, se i prezzi non rallentano al 2,2% al mese, il governo sarà costretto a una nuova svalutazione con conseguente nuova fiammata inflattiva. Inoltre la compressione della domanda interna ha frenato gli investimenti privati, che scenderanno nel 2024 del 25%, riducendo ancora la competitività delle imprese argentine. C’è poi un limite di consenso. Milei ha goduto di un ampio supporto popolare durante i primi mesi, rimasto intatto nonostante i pessimi dati di de-crescita e di aumento della povertà che la sua cura ha prodotto.
La popolazione adesso è però più interessata al problema della scarsa crescita e della corruzione che dell’inflazione. Di questo passo il consenso potrebbe erodersi velocemente, come alcuni dati mostrano già (il tasso di insoddisfazione è salito al 51,4%). L’obiettivo è arrivare alle elezioni di ottobre 2025 con un consenso tale da fargli avere la maggioranza in Parlamento.
Ma non avendo ancora recuperato competitività, non avendo liberalizzato il cambio valutario come chiede il Fmi per poter presentarsi sul mercato internazionale, non avendo avviato un minimo di progetto di rilancio delle esportazioni che non sia la speranza di un clima più favorevole, la sopravvivenza del piano di Milei rimane legata alla corda stretta all’economia argentina. […]