Estratto dell'articolo di Elisa Sola per "La Stampa"
«Ma noi li pestiamo, compare, tanto all'isolamento sono». Sei agosto 2023. L'assistente capo Rosario Rossi non sa di essere intercettato con 32 colleghi della polizia penitenziaria. C'è un problema da gestire nel carcere di Cuneo. Aria di rivolta. E Rossi rassicura così l'interlocutore.
In quelle celle fredde e spoglie del settore isolamento, poche settimane prima, nella notte tra il 20 e il 21 giugno, almeno cinque detenuti pachistani erano stati denudati. E lasciati, secondo la procura di Cuneo che coordina le indagini del Nucleo investigativo regionale della penitenziaria, a piangere per ore «senza acqua, cibo e coperte».
Con ferite e lividi. I segni del pestaggio avvenuto all'inizio della serata nella cella 417. Diventata nota, negli ambienti carcerari, come «la cella della mattanza». O «la cella degli indiani». Sulle azioni dei poliziotti indagati per le presunte torture e lesioni, c'è la dura e netta valutazione del tribunale del Riesame di Torino.
Sono «condotte crudeli, brutali e degradanti per le vittime», scrivono i giudici. «Frutto non già di una situazione eccezionale ed episodica, ma conseguenza di una prassi fuorviante improntata alla violenza». Il tribunale ha confermato, accogliendo la tesi del procuratore Onelio Dodero, la sospensione dal servizio per alcuni mesi dei due indagati con le posizioni considerate «più gravi», l'ispettore Giovanni Viviani e l'agente Rossi, difesi dagli avvocati Antonio Mencobello e Leonardo Roberi.
Furono «torture» dunque, secondo il tribunale della Libertà, quelle messe in atto dagli agenti verso detenuti inermi e quasi tutti incensurati. «Sussiste un concreto e attuale pericolo di reiterazione del reato», scrive il presidente Cristiano Trevisan, che sottolinea come i poliziotti indagati non siano stati «sospesi disciplinarmente dal servizio».
Non risulta nemmeno, aggiunge, «che siano incorsi in altre sanzioni disciplinari per i fatti per cui si procede». «Anzi - precisa Trevisan - per quanto emerso in udienza, con dichiarazione del pm non smentita dall'indagato né dal difensore, parrebbe che l'ispettore Viviani sia stato addirittura promosso, dopo i fatti, al grado di vice comandante della polizia penitenziaria». La «promozione» è stata decisa dal Provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria. Dopo che il gip di Cuneo aveva già ordinato l'interdizione dal servizio.
L'inchiesta è ancora aperta. Non ci sono solo le testimonianze, le consulenze medico legali e i filmati delle videocamere. Ma anche le intercettazioni. Decine di pagine di conversazioni trascritte, per dimostrare che i «pestaggi» sarebbero stata una «prassi».
È il 14 luglio 2023 quando l'agente Rossi, intercettato, dice: «Mi sa che stasera faccio un guaio, ti giuro, vado giù e lo scasso». Due giorni prima, due suoi colleghi parlano del «trattamento» dedicato ai «nuovi giunti»: «Se arrivano nuovi che ancora…vanno addomesticati… vanno addestrati». Per i giudici, si tratta di una «chiara allusione all'uso della forza».
Alcuni poliziotti - registrati nello stesso periodo - a un certo punto si rendono conto che forse qualcuno sta esagerando. C'è un agente che dice ad altri due: «Io te l'ho già detto cinque minuti fa. Tu sei responsabile, va bene pestare, però ci vuole un attimino prima di pestare». E c'è anche chi smette di parlare. [...]
Infine, c'è chi, il 19 agosto 2023, evoca «i bei tempi». Quelli in cui, scrive il giudice, «non c'erano le telecamere e la gestione violenta dei detenuti era impunemente consentita». Il poliziotto si sfoga con un collega: «Se entri in cella, a quel punto gliele devi dare… con queste cazzo di telecamere non puoi neanche più respirare».