Massimo Sanvito per “Libero Quotidiano”
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In un angolino del pronto soccorso dell'ospedale Vannini di Roma. Sdraiata su una barella. Da sola. Per dieci ore. Interminabili. Si contorceva dai dolori allo stomaco, Rossana, mentre aspettava il suo turno per fare una tac. Aveva 67 anni e nel popolare quartiere del Quarticciolo la conoscevano in tanti.
È morta per una dissezione dell'aorta, in pratica l'arteria vitale è collassata provocando un'emorragia fatale, all'alba di giovedì, nella sala operatoria del policlinico Tor Vergata, dove l'avevano trasferita per un intervento disperato. Troppo tardi.
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Ora, al Vannini, è stata disposta un'indagine interna. La famiglia di Rossana chiede che la magistratura faccia chiarezza. La sua morte poteva essere evitata? «Se fossero intervenuti subito forse mia zia sarebbe ancora viva», racconta Irene, la nipote della donna.
E dal Vannini rispondono, puntando il dito sulle lungaggini del Covid: «La signora ha fatto il percorso Covid che ha allungato i tempi, accusava dei sintomi generici, è stata sottoposta a due tac e poi trasferita a Tor Vergata, l'hub di riferimento per il reparto di cardiochirurgia».
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A fare da arbitro, nel contesto di questa tragedia, è la Direzione Salute - Area Rischio Clinico della Regione Lazio: «È stato disposto un immediato audit clinico per definire tutti i passaggi assistenziali che hanno riguardato la signora Rossana Alessandroni, dai tempi del soccorso, al decorso presso l'ospedale Vannini, i tempi dell'inquadramento clinico e le relative modalità operative ed il successivo trasporto all'hub di riferimento Policlinico Tor Vergata. Verrà tutto svolto con la massima celerità. Ai familiari vanno le sentite condoglianze, assicurando che verranno chiariti nella massima trasparenza tutti i passaggi clinici».
Si vedrà. Ma cos'è successo nelle ore precedenti il ricovero? È mercoledì, attorno all'ora di pranzo, quando Rossana, vedova e mamma di due figli, comincia a sentire dolori allo stomaco. Forti da toglierle il respiro. Chiama il 118, l'ambulanza arriva al Quarticciolo, lei ci sale sulle proprie gambe. Nessuno può immaginare che non ritornerà più a casa.
A sirene spiegate volano in codice rosso verso il Vannini, a Tor Pignattara. In pronto soccorso la sdraiano su una barella, le danno un antidolorifico e le dicono che dovrà aspettare la tac. Lei intanto scrive col telefonino alla sua famiglia. «Sono piena di dolori, non ne posso più, vorrei solo addormentarmi»: è l'ultimo messaggio, inviato alle 23.21.
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Sono passate più di dieci ore dall'ingresso in ospedale all'esame. Alle undici di sera Rossana non ha ancora l'esito e alle due di notte è ancora al Vannini. Alle cinque i suoi famigliari vengono chiamati da un anestesista del policlinico. Sono notizie nefaste.
I chirurghi, quando hanno aperto l'addome della signora hanno subito capito che non c'era più nulla da fare. L'emorragia è insanabile, il suo stato è troppo avanzato. Non sarebbe bastato nemmeno un miracolo.
Un caso di malasanità o nessuna responsabilità da parte del pronto soccorso? Saranno le indagini a chiarirlo, certo è che la vicenda capita a qualche giorno di distanza dalla sentenza del Tribunale di Bologna che ha condannato l'Ausl a risarcire i famigliari di Giuseppe Consiglio, morto il 20 aprile del 2008 a 35 anni, anche lui per un deterioramento dell'aorta.
Aveva forti dolori a mandibola e gola, vomito e diarrea. Per la guardia medica e per l'ospedale Santa Maria delle Croci si trattava di gastroenterite, così Giuseppe fu dimesso attorno alle otto di sera, per poi morire prima di mezzanotte dopo essere stato riportato in ospedale.
Fatale una lesione intestinale, diretta conseguenza della mancanza di esami approfonditi ed errori di valutazione da parte dei medici. L'unica ad aver intuito la gravità del suo quadro clinico era stata un'infermiera del 118 ma, di fatto, non fu ascoltata.
La famiglia di Rossana Alessandroni, intanto, chiede giustizia. È sempre la nipote Irene a fare da portavoce: «Rossana quando è entrata in ambulanza era vigile, orientata: è entrata in ospedale viva e ce l'hanno ridata morta. Vogliamo giustizia: vogliamo sapere la verità. Perché ci hanno messo così tanto a farle una tac e poi a trasferirla a Tor Vergata?».