"Alla fine è la storia di un uomo continuamente in lotta con la propria omosessualità". Tarantino, quella linguaccia, definì così Top Gun e il suo status di film simbolo degli anni Ottanta.
Uno dei più amati, pronto al ritorno. Il sequel arriverà l'anno prossimo. Si intitola Top Gun: Maverick e vede di nuovo protagonista il pilota di caccia interpretato da Tom Cruise, questa volta divenuto istruttore, in particolare del figlio di Goose, suo commilitone scomparso in missione nel film precedente.
A dirigerlo sarà Joseph Kosinski, che con Cruise aveva già lavorato in Oblivion. Ritorna dunque tutta un'epica che aveva affascinato e inorridito trent'anni fa. Perché Top Gun o lo ami o lo detesti.
Tozzi, vincenti e arroganti
Top Gun, uscito nel 1986, fu l'apoteosi dell'America a stelle e strisce sotto la presidenza di Ronald Reagan. Il nemico era ancora unico, anche se cominciava a traballare: l'Unione Sovietica. Gli Usa si erano imbarcati nel progetto dello scudo stellare Star Wars e si rifacevano il look di Paese tozzo, vincente e arrogante a suon di spot patinati e plastificati.
Un'immagine trasportata di peso nel cinema, che in quegli anni arruolò diversi maestri della pubblicità dietro la macchina da presa sui set finanziati dai grandi studios. Tony Scott, insieme al fratello Ridley, veniva da lì: spot patinatissimi, eleganti, spettacolari. In uno di questi un'automobile Saab gareggiava in pista con un jet da guerra. Non fu l'unico elemento che portò il produttore Jerry Bruckheimer a scegliere lui per dirigere l'action movie con Tom Cruise, ma di certo contribuì.
Top Gun fu un successone e gonfiò all'eccesso l'ego degli States in versione aerea: trama da riassumere in due righe con l'addestramento, i voli spettacolari, le battaglie (piloti americani figaccioni contro russi filmati tipo alieni robotici) il collega morto, il senso di colpa con riscatto finale e la storia d'amore con l'istruttrice Charlie. Scuole e negozi si riempirono di giubbotti Avirex e occhiali a goccia Ray Ban con lenti da sole.
Radio e Jukebox si riempirono del tormentone Take My Breath Away. Era l'America di Reagan, quella dei muscoli pompati in palestra, resi più grossi da steroidi a go goe pieni di olio per renderli lucidi. Chiaro come in epoca di Make America Great Again e America First strillato da Donald Trump, i tempi siano perfetti per un seguit al cinema. Poi i destini si divisero, in modo anche tragico.
Il suicidio di Scott, la metamorfosi della McGillis e di Kilmer
Tra le star di Top Gun la prima a cadere fu Kelly McGillis: da biondissima e bellissima Marilyn in tuta da volo (ma l'avevamo vista, altrettanto bella e naturalmente castana nel molto più interessante Witness) si trasformò in donna travolta da una celebrità che viveva male.
Schiacciata da una Hollywood che gli offrì ruoli mai all'altezza o pseudo erotici, e dall'infelicità esistenziale: due matrimoni con uomini andati in fumo, il dolore di uno stupro subito in gioventùsempre appresso, la confessione (in anni molto più ostici di adesso) della propria omosessualità, le nuove nozze con la sua compagna e il terzo divorzio.
Oggi, 62enne trasformata nel fisico, la McGillis non è stata nemmeno interpellata per prendere parte al sequel Top Gun: Maverick. E ha commentato laconica: "Sono troppo vecchia, e grassa". A parti invertite, che so, a un Danny De Vito avrebbero trovato un posto almeno per un cameo. Ma questa è Hollywod, alla faccia del #MeToo. Cruise è diventato la superstar che è, con fama di essere insopportabile sul set e l'ombra del suo ruolo dentro Scientology a renderne la figura qua e là inquietante.
Val Kilmer, il bonissimo Iceman che divideva con Cruise i favori del pubblico di ragazzine di trent'anni fa, è uscito dal giro dei film e telefilm che contano. Imbolsito dagli eccessi, nomea da cavallo pazzo, era tra i pochissimi belli del cinema Usa a saper recitare drammatico ma anche far ridere in modo demenziale.
Peccato. Peggio di tutti è andata a Tony Scott, regista del film cult-insopportabile degli anni '80, autore di splendide sequenze di volo. Minato dalla malattia incurabile, il regista di grandi successi ma dallo stile spesso criticato perché esagitato e tutto estetica, si suicidò in pieno giorno gettandosi dal Vincent Thomas Bridge, vicino a Los Angeles. Perché la realtà sa essere molto poco patinata.
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