Andrea Joly per “la Stampa”
Un giovane profugo è addormentato per strada nel cuore di Roma. Potrebbe chiamarsi Bubà, come il bambino arrivato al porto di Taranto con la Geo Barents i primi di agosto, o Ahmed, anche lui salvato a luglio da uno dei tanti gommoni partiti dalla Libia. Invece si chiama «Sono pronto al flagello», non è fatto di carne e ossa ma di marmo nero di Colonnata, opera dello scultore italiano Jago, 35 anni e riconoscimenti artistici da tutto il mondo. La scultura, posta ad agosto sul selciato del Ponte degli Angeli per lanciare un messaggio contro il razzismo, rappresentava la condizione dei profughi nel Mediterraneo.
la scultura di jago vandalizzata
«E ha fatto la fine di molti di loro» racconta Jago: colpita dall'odio di chi la considera «un disturbo al decoro urbano». Dei vandali l'hanno distrutta «così come i razzisti toglierebbero di mezzo dalla strada chi finisce per dormirci. E questo è triste». È stata rimossa perché «così è tagliente e pericolosa» spiega ancora Jago. Dopo aver viaggiato con le navi Ong per un mese, essere stata al centro dello Stadio Olimpico e poi sotto lo sguardo dei santi del Bernini e milioni di romani e turisti, l'opera ora non c'è più.
in flagella paratus sum la scultura di jago a ponte sant angelo, roma 1
Jago, il messaggio di «Sono pronto al flagello» così è diventato ancora più forte?
«Sono dispiaciuto, ma me l'aspettavo. Succede alle persone, che vengono ammazzate per strada perché sono "un disturbo al decoro urbano", figurarsi se non succede a una statua. Anche per questo le avevo dato quel titolo, "Sono pronto al flagello". È quello che provano questi ragazzi quando sbarcano e finiscono sulle nostre strade. Sulla Ocean Vikings ho conosciuto e parlato con alcuni di loro e ho pensato: potrei essere io, potremmo essere noi. E in quel caso dovremmo pregare di trovare dall'altra parte accoglienza e amore. Non so se i vandali abbiano amplificato il suo messaggio, sicuramente sento il bisogno di parlarne, prendere posizione».
in flagella paratus sum la scultura di jago a ponte sant angelo, roma 3
Anche il Papa ha parlato dell'esclusione dei migranti definendola «schifosa, peccaminosa, criminale».
«Non solo il Papa ha ragione, ma è anche stato moderato: avrebbe potuto dire di peggio ma la Santità che rappresenta glielo impedisce. Dobbiamo capire che siamo tutti figli di migranti, tutta questa varietà che c'è nel mondo deriva da un unico ceppo. Il resto sono interessi. E stronzate».
la statua di jago in flagella paratus sum vandalizzata a ponte santangelo
Ma quei vandali erano spinti da ideologie, secondo lei?
«Non so, so che io quando faccio l'opera e ora che ne parlo ci metto la faccia, loro si sono nascosti. E purtroppo mancano i controlli, le videocamere, come spesso mancano per i migranti che subiscono cose peggiori. Se i vandali volevano lanciare un messaggio rompendo la scultura, avrebbero dovuto avere il coraggio di esplicitarlo. Loro fanno squadra nell'ombra, io dico: facciamo squadra anche noi, che sui migranti la pensiamo diversamente».
la statua di jago in flagella paratus sum vandalizzata a ponte santangelo
Quanto è importante che l'arte prenda posizione?
«Gli artisti sono sempre attivi e ognuno col suo talento prova a portare equilibrio in un mondo in cui continuiamo a sganciare bombe. E la bellezza e la creatività che noi usiamo deve aggiungere valore, lanciare messaggi».
Alle elezioni, però, ha vinto la linea del blocco navale e dei porti chiusi. Quello della statua è un messaggio che l'Italia vuole ascoltare?
in flagella paratus sum la scultura di jago a ponte sant angelo, roma 2
«Per queste cose, il contesto e l'ereditarietà sono importanti. Quindi se la politica pensa in un certo modo, questi episodi possono aumentare, così come un giovane gira senza casco perché ha visto i genitori farlo. Serve un dialogo sano. Ma in campagna elettorale la politica mi è sembrata più interessata a capire come manipolare il prossimo che a creare dialogo...».
L'opera e il suo messaggio torneranno sul Ponte degli Angeli?
«Non ho ancora potuto valutare di persona il danno, non lo so e non dipende solo da me. Ma so che i romani mi chiedono scusa, come se fosse colpa loro e non di una minoranza, e in tanti le volevano bene. Di questo li ringrazio».
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