"MORIRE PER QUALCOSA O QUALCUNO È SEMPRE STUPIDO. MA MORIRE IN DONBASS VALE LA PENA" - VIAGGIO TRA LE FILE DEI RISERVISTI UCRAINI: MOLTI DEI VOLONTARI SONO A MALAPENA MAGGIORENNI (ANCHE SE ARRIVANO ANCHE SESSANTENNI) E PROVENGONO DA OGNI PARTE DEL PAESE: STUDENTI, PROFESSORI, PROFESSIONISTI E DISOCCUPATI - C'È CHI SI FA ANCHE TRE GIORNI DI FILA PER ARRUOLARSI: "QUESTO È IL MIO PAESE, DOVE VIVE LA MIA FAMIGLIA E DOVE C'È TUTTO QUELLO CHE HO COSTRUITO..."

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Letizia Tortello per La Stampa

 

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«Solo il pazzo, non ha paura di morire. Ma questo fucile mi rassicura. Senza, sarei stato in pericolo». Vasilie ha le mani sudate, se le tocca e trema. Ha la barba lunga, non toglie mai l'elmetto dalla testa, anche al chiuso, come se quell'equipaggiamento mimetico che indossa per la prima volta fosse la sua nuova corazza per proteggersi dal male. Ha 26 anni, faccia da accademico, voce impastata. Si è sposato da poco, a settembre nascerà il primo figlio.

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Per lui è pronto a combattere. E dire che fino a tre mesi fa era un insegnante di Fisica e Astronomia, con un Master all'Università di Kiev e un progetto di diffusione della cultura scientifica via radio. Oggi è uno dei soldati volontari per l'Ucraina. Riservista pronto ad andare al fronte a sacrificare se stesso, e la vita, per la libertà del suo Paese.

 

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Non c'è retorica nelle frasi di chi sta per partire per la guerra e sa che potrebbe non tornare mai più. L'esercito di Zelensky perde 100, 200 uomini al giorno, con una resistenza ostinata, nelle ultime ore soprattutto nella regione di Kherson. Servono nuove forze in prima linea, per questo sono stati allertati i civili come Vasilie, che hanno lasciato tutto e si sono candidati per addestrarsi.

 

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Lui, come gli altri 70 compagni che il comandante del Battaglione passa in rassegna in un vecchio complesso fuori da Kiev, si allena da febbraio. Ancora non sa quando sarà il suo turno, né in quale città lo manderanno. Ma ha già ricevuto la benedizione della sua compagna: «Vai, ti capisco. Mi ha detto».

 

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Nella grande stanza dove i riservisti vengono convocati per l'appello, in pochi secondi si formano due file di uomini sull'attenti. Hanno tra i 18 e i 61 anni. La divisa è fornita dall'esercito, così come le armi, a seconda della specializzazione scelta: lanciagranate, fuciliere, tiratore scelto, posizionatore di mine anticarro. Le scarpe, invece, tradiscono la storia dei singoli uomini. C'è chi arriva con le Nike o le New Balance, chi ha calzature usurate, da buttare, come un anziano signore dal volto scavato, che in testa ha un elmetto storto, penzolante a sinistra.

 

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Moltissimi i giovani, pronti a tutto «per la vittoria». Sotto la mimetica, si nascondono ingegneri programmatori come «Tigre», questo il soprannome di battaglia, che ha sempre avuto la passione per le armi. E sistemisti della Apple, laureati al Politecnico della capitale, come «il Cigno», Iuri, capelli rasati e ciuffo, che non ha mai sparato e ammette: «Morire per qualcosa o qualcuno è sempre stupido. Ma morire in Donbass vale la pena, perché dentro di me sento che sto facendo la cosa giusta».

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Ecco le facce, le voci, le emozioni del conflitto ucraino in carne ed ossa. Storie sospese tra la vita e chissà. Se sopravviverà, Iuri non vuole continuare a fare il soldato, e crede che il suo Paese alla fine prevarrà: «Finito il mio compito, tornerò civile - dice -. Mi piace la vita normale, amo fare colazione in questo modo qui. Mi piace la libertà». Ci mostra una foto sul cellulare di una tavola imbandita con uova, bacon, avocado e dolci che ha preparato per se stesso in una domenica di relax. È il momento della conta. Ciascuno viene chiamato per nome e risponde «ci sono!».

 

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Abbigliamento e armi vengono controllate nei minimi dettagli. L'immancabile «Slava Ukraini», gloria all'ucraina è preceduto da un momento di silenzio per le vittime della guerra. Poi, inizia il training teorico. Quello che un altro Battaglione ha già superato da settimane, per passare all'addestramento sul campo. Ci spostiamo, dunque, in un terreno attrezzato con materassi che fungono da trincee. Iuri, un altro, 24 anni, designer d'interni prima del 24 febbraio, si allena a sparare secondo la tecnica Nato: uno corre, l'altro copre, l'altro carica l'arma.

 

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«È la prima volta in tutta la mia vita che sento di avere uno scopo, di darle un senso. Prima avevo tanti dubbi sul lavoro e sulle scelte», spiega laconico. Ha un piccolo tatuaggio sulla guancia sinistra, tre note musicali: «Suono la chitarra classica, mi mancherà, ma non la porterò al fronte». Nella guerra che strappa via tutto, anche le certezze si ridefiniscono, diventano minime, fondamentali per arrivare a domani. L'addestramento al campo prevede tattica e medicina.

 

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Capacità di spostamento sul terreno e esperienza nel riconoscere ed usare i missili. «Questi uomini possono partire da un momento all'altro», spiega il comandante, un militare che ha combattuto nel 2014 ed è rimasto ferito alla spalla. La portavoce della 241° divisione della Difesa territoriale, Oksana Ponomariova, ex filologa e anche lei volontaria per l'esercito, rivela in disparte che il figlio dell'uomo è in battaglia e di lui non sa più nulla da molto tempo.

 

LA RESISTENZA DEI CIVILI UCRAINI LA RESISTENZA DEI CIVILI UCRAINI

 Sul suo volto, si intravede una lacrima, mentre il comandante con lo sguardo basso torna tra i soldati, dopo la breve pausa. «Tra i riservisti ho trovato compagni di scuola che non vedevo da vent' anni», dice Viktor, proprietario di un internet-caffè. Ha fatto tre giorni di coda per arruolarsi. E non vuole fare l'eroe: «Questo è il mio Paese, dove vive la mia famiglia e dove c'è tutto quello che ho costruito. I russi non me lo porteranno via»

 

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