Estratto dell'articolo di Corrado Zunino per "La Repubblica"
Satnam Singh - lavoratore indiano morto dopo l amputazione del braccio
Si siede al bar a fianco della Conad, ha lo sguardo spaurito. Gli occhi sbattono, segnalando la stanchezza. «Non dorme da quel lunedì», dice il cugino che l’ha accompagnato. «Sono Tarnjit Singh, ho 30 anni e un fratello», si presenta. «Sono nato a Kapurthala, nel Punjab, India. Ho venduto casa e terreni, e sono partito per l’Italia.
Ho traversato il Mediterraneo. Per un anno, da voi, ho lavorato con l’Agrilovato». È uno dei tre testimoni dell’incidente che ha amputato il braccio destro di Satnam Singh, lunedì 17 giugno alle 16,15. Due giorni dopo sarebbe morto per dissanguamento. Tarnjit parla un italiano minimo. Per tradurre domande e risposte abbiamo utilizzato Gurmukh Singh, leader (non per tutti) della comunità Sikh dell’Agro Pontino.
Partiamo da quel lunedì, Tarnjit. A che ora avete iniziato a lavorare?
«Alle 7 di mattina».
Quanti eravate?
«Cinque. Il padrone, Antonello Lovato, Satnam con sua moglie Soni, io e Alessandra».
[…] Lei, Tarnjit, quanto guadagnava alla Cooperativa Agrilovato?
«Cinque euro e mezzo l’ora, in nero. Non ho il permesso di soggiorno».
[…] Al momento dell’incidente, lei dov’era?
«Il padrone mi aveva dato un coltello ed ero andato a incidere il tessuto con una X, i meloni devono respirare. Sono il più distante da Satnam, settanta metri».
E Satnam?
«Era vicino al signor Lovato. Davanti al trattore e a quel macchinario, molto vecchio, che avvolge la rete».
Il padre di Antonello Lovato dice che il figlio aveva detto a Satnam di stare lontano dall’avvolgitore.
«Quel lavoro spettava a lui. Come faceva a starci lontano?».
RENZO LOVATO - TITOLARE DELL AZIENDA AGRICOLA DOVE E MORTO SATNAM SINGH
Come si è accorto dell’incidente?
«Le urla di Satnam. Gridava fortissimo, implorava il cielo di aiutarlo. La moglie e l’italiana sono corsi verso di lui, e anch’io».
Cosa ha visto?
«Satnam aveva il braccio destro staccato all’altezza del muscolo e mangiato in altri due punti. La moglie singhiozzava e diceva a Lovato: “Ospedale, ospedale”».
E Antonello Lovato?
«Diceva che era morto».
In che stato era il datore?
«Travolto dalla paura, respirava male. Anch’io gli ho detto: “Ambulance !” ».
E lui?
«È morto, non so dove buttarlo”. Soni ci implorava: “Respira, sentite”. Antonello è andato più vicino a Satnam e ha capito che era vivo».
Quindi?
«Ha detto che l’ambulanza non veniva nella campagna. Ho chiamato al telefono mio cugino, parla meglio l’italiano. L’ho messo in viva voce. Anche lui: “Devi portare Satnam in ospedale”. Il padrone ha preso il corpo e l’ha portato verso il furgone urlando: “Aprite, aprite”. Nessuno lo faceva, io sono corso ad allargare il portellone posteriore. Credevo lo portasse in ospedale».
Cosa c’era nel furgone?
«Tante cassette, di legno, di plastica. Sono entrato per spingerle in avanti, poi sono uscito dalla portiera di destra. Lovato aveva messo dentro Satnam ed era entrata anche Soni. Ha chiuso e si è messo alla guida. Io sono rimasto giù. Non ho visto chi aveva preso il braccio. Ho saputo che aveva lasciato il corpo di Satnam sotto il suo appartamento».
Soni - la moglie di Satnam Singh
Si è detto che con voi c’era un’altra squadra di braccianti.
«Nel nostro campo c’eravamo solo noi, dalla mattina».
[…] Se fosse stato portato in ospedale?
«Sarebbe vivo».
Chi è Alessandro Lovato?
«Una persona normale, ci dava l’acqua, a volte pranzava con noi. E quando pioveva, accompagnava Satnam a casa. A volte bestemmiava, ma non s’è mai arrabbiato con me».
Definirebbe i Lovato una famiglia razzista?
«No».
Vuole restare in Italia?
«Voglio vivere qui, certo, Che altro potrei fare? In India ho tanti debiti».
STRALCIO DELL AVVISO DI CONCLUSIONE INDAGINI SU RENZO LOVATO