Marco Ventura per il Messaggero
attentato alla sinagoga e morte di STEFANO GAJ TACHE
Il silenzio urla da quarant' anni, da quel 9 ottobre 1982 in cui Stefano Gaj Taché, un bimbo di 2 anni, fu ucciso nell'attentato alla Sinagoga. Era una bella giornata di sole a Roma e le granate dei terroristi furono scambiate all'inizio per sassi. Il fratello di Stefano, Gadiel, aveva 4 anni e fu investito dalle schegge, lottò per sopravvivere. La sua foto uscito dall'ospedale, in carrozzella e con l'occhio bendato, insieme a quelle di Stefano, è in fondo alle oltre 100 pagine della sua accurata e accorata denuncia senza retorica per la Giuntina, Il silenzio che urla.
«Nel 2011, scoprii che Stefano non compariva nella lista ufficiale delle vittime italiane del terrorismo», racconta Gadiel. «Ma prima di essere un bambino ebreo, lui era un bambino italiano; per molti, invece, quella tragedia riguardava altri, la comunità ebraica... Poi, nel 2015, vidi alla tv le immagini di Charlie Hebdo e dell'attacco al supermarket kosher a Parigi, fu come rivivere la violenza che avevo rimosso. E decisi di farmi portavoce della sofferenza della mia famiglia e riguardare tutti i documenti che nel frattempo erano stati de-secretati». E che cosa ha scoperto? «All'archivio di Stato, la prima lettera che andai a cercare fu quella di Tullia Zevi che segnalava il pericolo alla Sinagoga.
Ancora oggi mi chiedo perché al Tempio non fu prevista la sorveglianza. Per quarant' anni ti raccontano una storia, che il responsabile è un certo Al Zomar per conto di Abu Nidal, e ti destabilizza imbatterti in testimonianze per cui sembra che le cose non siano andate proprio così». Al Zomar fuggì in Grecia, e non fu mai estradato.
«Nel novembre 1982 un'informativa del Sisde, i servizi interni, riportava una confidenza della fidanzata di Al Zomar per cui l'incarico sarebbe arrivato dall'Olp», spiega Gadiel. «In quei mesi c'era fermento, aggressività, di media e politica: si faceva l'equazione Israele-ebrei, una confusione frutto di pregiudizi perché una cosa è Israele, altra le comunità ebraiche. Io sono anzitutto italiano, romano de Roma, de Testaccio».
attentato alla sinagoga e morte di STEFANO GAJ TACHE
LA GUERRA La guerra in Libano fece precipitare la situazione. «Durante una manifestazione sindacale, fu scaraventata una bara davanti al Tempio, sotto la lapide che ricordava 1.022 ebrei deportati nei campi di sterminio. Perché là e non davanti all'Ambasciata? Rav Toaff scrisse a Lama, segretario Cgil, che pur deprecando l'episodio rispose che non si poteva sottacere il genocidio in Libano. Una confusione, tra ebrei e Israele, sempre molto pericolosa».
(...) L'antisemitismo è un virus che nasce dall'ignoranza: la differenza tra ebreo e israeliano a molti non è ancora chiara».
Nel libro ci sono foto di Gadiel e Stefano: «Servono a ricordare. Io oggi cammino, corro, scio, ma con dolore La mia gamba è devastata e negli ultimi mesi ho ripreso le stampelle. Il mio corpo, ai raggi X, è un cielo stellato, con tutti i puntini luminosi delle schegge nella gamba, nell'addome, nella testa A volte escono dal piede. Mia madre lo stesso».
Spera che la verità venga fuori? «Difficile che si faccia giustizia dopo quarant' anni, ma spero che la verità emerga. Nelle carte ci sono altri nomi legati ad Al Zomar». Italiani? «Bisogna indagare, a partire dalle 17 informative in cui il Sisde scriveva che ci sarebbe stato un attentato e i terroristi erano aiutati da italiani». Il prossimo 21 settembre, quando si celebrerà solennemente il ricordo dell'attentato, nessuno potrà ignorare «il silenzio che urla» della famiglia Taché.
STEFANO GAJ TACHE ATTENTATO SINAGOGA ROMA del 1982 in cui rimase uccise Stefano Gaj Tache 9