Salvatore Settis per "la Stampa"
I recenti incontri di Roma e di Glasgow hanno dato risultati deludenti sul fronte dei drammatici mutamenti climatici che ci minacciano. Eppure nessuno ha contestato seriamente l'attendibilità delle previsioni ICCP (Intergovernmental Panel on Climate Change) diffuse nel luglio di quest'anno: in mancanza di interventi seri, immediati e globali, la temperatura media del pianeta aumenterà entro il 2100 da 2,1 gradi a 3,5 nell'ipotesi peggiore.
Il livello dei mari crescerà mediamente, di qui alla fine del secolo, da un minimo di 44 centimetri a un massimo di 76: a patirne le conseguenze non saranno dunque solo le indeterminate generazioni future, ma centinaia di milioni di giovani e di bambini già vivi oggi, un esercito di Grete che riempiono e riempiranno sempre più le piazze del mondo.
Fra le prime vittime dell'incoscienza umana, Venezia. Un incauto ottimismo fa credere ai più ingenui che le barriere mobili del Mose siano una difesa efficace, ma non è così. Il Mose (ammesso che funzioni) può agire su fenomeni passeggeri e locali come l'acqua alta, ma non ha il minimo effetto sul crescente innalzamento di livello delle acque, che è un fenomeno planetario.
Il livello delle acque in Laguna negli ultimi cento anni è già cresciuto di 35 centimetri, nulla di fronte a quello che sta per accadere, portando fatalmente a una condizione quasi permanente di acqua alta: le barriere del Mose dovrebbero essere alzate almeno 260 giorni l'anno, ostruendo l'armonico rapporto fra Laguna e mare che è essenziale alla sopravvivenza di un prodigioso ecosistema che include monumenti e acque, la storia degli uomini e la biosfera, la Laguna e la città.
Venezia non verrà ingoiata da eventi catastrofici imprevisti, ma si sgretolerà e crollerà su se stessa nei prossimi decenni, via via che i suoi edifici verranno corrosi dalla risalita capillare dell'acqua salmastra, che, impregnando malte e intonaci, pietre e mattoni, intacca l'integrità degli edifici e provoca crescenti dissesti strutturali.
L'Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti, prestigiosa accademia fondata nel 1810, ha dato corpo a questo allarme in una lettera aperta al presidente del Consiglio Draghi. Da almeno un decennio, dice la lettera, è certo che il livello del Mediterraneo crescerà quanto quello dell'Atlantico, e le conseguenze a Venezia saranno aggravate dalla subsidenza, fenomeno geodinamico inarrestabile per cui l'intera città si abbassa ogni anno di 2 millimetri.
L'estrema gravità della situazione, ben nota agli specialisti, non ha ancora raggiunto l'opinione pubblica né innescato adeguati provvedimenti di governo, a causa della frequente confusione fra gli eventi temporanei propri della Laguna (l'acqua alta) e l'innalzamento globale dei mari, che su Venezia sta avendo un effetto letale; e le tortuose vicende del Mose, passate attraverso episodi di corruzione e sprechi, hanno contribuito a deviare l'attenzione da questa distinzione essenziale.
Che cosa sta facendo o può fare l'Italia per salvare Venezia? Prima di tutto, certo, contribuire a promuovere rimedi globali che quanto meno rallentino i cambiamenti climatici e ne rendano meno incontrollabili gli effetti. Ma il problema di Venezia resta e il Mose, se pure dovesse funzionare al meglio, nulla può fare per impedire il processo in corso: «Venezia non scomparirà inghiottita dalle acque come la mitica Atlantide, ma marcirà e cadrà a poco a poco: orribile monumento alla nostra negligenza e incompetenza», è scritto nella lettera a Draghi.
E come si potrà salvare città e Laguna, se «una Babele di autorità e di poteri conflittuali sono attualmente responsabili della protezione di Venezia» ? Una trentina di istituzioni si divide compiti che spesso si sovrappongono, generando zone grigie e conflitti di competenza: e l'unico rimedio che si è finora trovato è il cosiddetto Comitatone, istituito con legge speciale, che dovrebbe coordinare tutto ma riesce a riunirsi, faticosamente, a intervalli troppo larghi per risultare efficace.
venezia, il mose non viene attivato e torna l acqua alta 1
L'Istituto Veneto suggerisce al governo, invece, di muoversi in due direzioni, entrambe all'insegna della massima trasparenza e pubblicità dei risultati: la ricerca scientifica e l'efficacia dei processi decisionali. Alla Babele nostrana propone di sostituire un organismo unico, «una nuova autorità dotata di adeguate deleghe», seguendo l'esempio dell'Olanda, che già dal 2010 ha creato un'autorità strategica di gestione del problema (Programma Delta).
Poiché è necessario affrontare l'incertezza che ci sta davanti, in Olanda si sta lavorando simultaneamente a quattro diversi scenari, con un innalzamento del livello del mare da un minimo di 40 centimetri a un massimo di un metro. Lungimirante pianificazione del futuro e flessibilità nelle risposte sono infatti premesse imprescindibili di un buon risultato: il nuovo organismo, seppure necessariamente innestato nell'ordinamento istituzionale del Paese, dovrebbe valersi delle massime competenze scientifiche e gestionali a livello europeo, consentendone la piena libertà.
Rivolgendosi a Biden in vista degli incontri di Roma e di Glasgow, Draghi si mostrò assai allarmato per le «conseguenze catastrofiche» dell'innalzamento di livello dei mari, e citò Venezia fra i temi da affrontare con decisione (La Stampa, 18 settembre): è anche per questo che l'Istituto Veneto si è rivolto a lui con speranza. All'appello si è aggiunta la voce di Orhan Pamuk, il grande scrittore turco (Nobel 2006) che ha insegnato a Ca' Foscari nel 2009: «Salvare Venezia è salvare tutta l'umanità e ogni città del mondo. Servirà come esempio per tutta l'umanità e mostrerà che salvare e conservare le nostre città significa preservare esempi unici dei diversi modi in cui si può essere umani».
Se l'Italia vuole che la sua voce sul riscaldamento globale venga ascoltata, nulla può darle credito quanto passare dalle parole ai fatti sul fronte più difficile e più caldo del mondo: Venezia.