Estratto dell’articolo di Luigi Ippolito per il "Corriere della Sera"
È il primo vertice del Commonwealth per il premier britannico Keir Starmer, arrivato ieri a Samoa all’incontro fra i leader delle 56 nazioni che fanno parte dell’organizzazione nata dalle ceneri dell’Impero: ma è un appuntamento difficile, perché Londra si trova a dover affrontare la pesante eredità dello schiavismo e la richiesta di riparazioni ai popoli che furono vittime della tratta degli schiavi.
È la rivolta dell’Impero: contro la volontà dei britannici, il tema è stato inserito nella bozza di agenda dei lavori del vertice.
Nel testo del comunicato finale, ancora provvisorio, si legge che «i leader, preso atto degli appelli alla discussione sulla giustizia riparativa riguardo al commercio transatlantico di africani fatti schiavi, riconoscono che è giunto il momento per una conversazione significativa, veritiera e rispettosa che punti a forgiare un futuro comune basato sull’equità».
Il governo Starmer ha escluso finora di poter acconsentire alla richiesta di riparazioni, che potrebbe sfociare in versamenti calcolati da un minimo di 250 miliardi a un massimo di oltre 20 mila miliardi: «Certo che la schiavitù è abominevole per chiunque — ha detto il premier arrivando a Samoa — ma dal mio punto di vista piuttosto mi rimboccherei le maniche e lavorerei con loro sulle sfide del futuro invece che passare tanto tempo sul passato».
Ma la posizione di Downing Street — cioè che le riparazioni non sono neppure in agenda — ha fatto arrabbiare alcuni ministri caraibici
[…] Eppure va notato che quello stesso governo laburista ha da poco accettato di cedere le isole Chagos, l’ultima colonia d’Africa, e vede schierato come ministro degli Esteri un discendente degli schiavi, David Lammy. […]
Questo summit segna anche l’esordio di re Carlo, che per poter partecipare ha interrotto momentaneamente le terapie anti cancro […] Ora Carlo si trova ad affrontare le pulsioni repubblicane che montano nei 14 Paesi di cui è capo di Stato
[…]
Il paradosso è che il Commonwealth doveva essere un «impero soft», uno strumento di influenza globale per la Gran Bretagna, ma adesso si sta rivoltando contro la madrepatria e chiede il conto delle malefatte storiche. È un sommovimento che è parte di un processo più ampio di riesame del passato, che vede l’Occidente sul banco degli imputati e trova spazio nelle stesse opinioni pubbliche delle società anglosassoni, ormai molto meno indulgenti verso l’eredità imperiale.
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