Elvira Serra per il “Corriere della Sera”
Alzi la mano chi non lo ha fatto. A cena con gli amici, seduti a tavola, abbiamo aspettato il momento migliore per dare una sbirciatina al cellulare, magari quando la nostra disattenzione sarebbe stata notata meno. Ognuno con i suoi buoni motivi. Chi scrive, lo ha fatto l’ultima volta per controllare come era andata a finire tra Vinci e Pennetta agli Us Open (obiettivamente, niente che non si potesse rimandare). Poi, certo, la momentanea defezione può diventare argomento di conversazione. L’interruzione, però, ormai c’è stata.
Negli Stati Uniti succede spessissimo. Il Pew Research Center ha calcolato che l’89% di chi ha uno smartphone lo ha usato nella sua ultima uscita di gruppo e l’82% degli adulti si è reso conto che il telefonino aveva disturbato lo scambio con gli altri commensali. Sarà bastato per spegnerlo la volta dopo? Forse no.
CELLULARE A CENA REGOLA DEL TRE
E infatti Sherry Turkle, già autrice di Alone, Together, il saggio in cui denunciava le nostre aspettative sempre più alte verso le nuove tecnologie a discapito delle persone in carne e ossa, ha raccontato sul New York Times quali sono gli accorgimenti adottati dai più giovani per non sembrare troppo maleducati. Uno, su tutti: la regola del tre.
Se a una tavolata di sei-sette amici almeno tre sono attenti alla conversazione, allora ci si può prendere la libertà (a turno) di sbirciare sul cellulare (operazione nella quale gli universitari sarebbero abilissimi: hanno imparato già alle medie a scrivere messaggi sotto il banco guardando contemporaneamente l’insegnante).
Che la parola «parlata» sia sempre più sconosciuta lo abbiamo capito da un pezzo. Federico Tonioni lo vede ogni giorno nell’ambulatorio per le dipendenze da Internet del Policlinico Gemelli di Roma. Dice: «I nativi digitali sono iperstimolati fin da piccoli, ma poi hanno grossi problemi nell’area dell’emotività. Faticano a guardarti negli occhi, a decifrare i codici identificativi peculiari del corpo, quei segnali lasciati con il contatto fisico e indipendenti dalle parole pronunciate».
Magari non c’è da preoccuparsi e ha ragione Giuseppe Riva, docente di Psicologia della Comunicazione alla Cattolica di Milano, quando avverte che «queste dinamiche di distrazione riguardano solo il gruppo allargato, che ha perso il ruolo di aggregatore tipico della “compagnia” nelle generazioni precedenti».
Ma c’è un dato, che non si può cancellare. Lo spiega Giovanni Boccia Artieri, sociologo dei nuovi media all’Università di Urbino Carlo Bo. «I costumi cambiano e questo riguarda sia gli adulti che i giovani. Non possiamo negoziare la presenza delle tecnologie nella nostra vita. Sono invadenti? Può darsi.
Ma faccio un esempio: ormai tutti i miei studenti tengono i cellulari sui banchi. Potrei innervosirmi, invece scelgo di usarli a mio vantaggio, magari facendomi cercare qualche parola su Wikipedia. Ecco, sta a me tenere alta l’attenzione».