Quirino Conti per Dagospia
Sarà forse per l’immunità che pare garantirli e dunque eternizzarli, ma se in un futuro lontano anni luce, per un residuo, archeologico Istituto di Studi Antropologici si dovessero indicare un segnale e una spia caratteristici dell’attuale fase formale, ormai anche numericamente imprecisabile per un profondo dissenso perfino su come classificarla (se fase 1, 2 o 3 della cosiddetta “riapertura”, quasi si trattasse dell’annoso, irrisolto problema dei postriboli), non ci si potrebbe riferire che a loro: agli ipertutelati neo-maturati.
Correntemente descritti come specie protetta, spuntati all’improvviso come funghi; rumorosi e beati di averla fatta comunque franca con un esame all’acqua di gelsomino e una quasi totale immunità al terribile virus.
Social e giornaloni se ne sono nutriti da antropofagi. Ma il meglio – si sa – era vederli dal vivo, lustrati dalle linguate protettive (ma al fondo livorose) di quanti invece l’esame l’avevano patito davvero e ora, come fosse un ingrato privilegio, dovevano patire anche un isolamento impietoso.
E dunque eccoli, in gruppi separati e non amalgamabili, i futuri perpetuatori della specie umana. Da un lato loro, inconsapevolmente – per scarse letture – Lolite o Salomè dallo sguardo torbido e già rapace.
In short sgonnellanti, con gran parte del fondoschiena all’aria, canottiere minimali e microcamicie annodate all’ombelico; o top autoreggenti pronti a sciogliersi dalle spalle a ogni movimento. Gambe solide, con ai piedi stivaletti flosci, sfrangiati e come corrucciati, tra Pocahontas e Anita Garibaldi.
Cascate di capelli molto oltre le spalle e legacci, infule e bracciali frammisti ai polsi, con molti anelli e catene e sonagli sulle calzature, all’altezza delle caviglie. Occhiali neri come carbone. Bocche scure, trucco cereo fino alla base del collo, per il resto solo natura.
Sempre a ridere tra di loro di chissà cosa; ma soprattutto dell’altro gruppo – gli inseminatori –, che invece ormai stremato da ogni piacere si dedica unicamente a giocherellare con una palla.
In bermuda obbligatoriamente sfigurati o in jeans tagliuzzati e riassestati attorno a un precoce accenno di adipe ai fianchi. Oppure su andature scheletriche. Camicie o t-shirt (anche hawaiane alla Elvis). Sneakers leggere e colorate come gelatine, ma anche sandali o ciabatte. E bracciali, bracciali e legacci e rosari ai polsi; di ogni materiale ed etnia.
Fondamentali le frange fin sugli occhi. Lisce o più spesso simili a quelle di tanti ritratti della Rinascenza fiorentina. Occhiali metallici, tecnologici; al polso un pesante cronometro. Barbini o brevi tracce di peluria sparse sul mento. Tatuatissimi ai polpacci e a un solo braccio. Rumorosi e frementi come cagnolini in gabbia. Ignari degli sguardi irridenti delle loro compagne di piacere. Ora lontane mille miglia dai loro pensieri, impegnati come sono con quella palla che deve andare a colpire chissà cosa.
Intanto due delle suddette smodate exvergini, intraviste in un giardino di privilegiati ricconi, improvvisavano un sincronico balletto per Tik Tok. Mentre, da casa, le genitrici al telefono si lamentavano di tutto; e il genitore, l’unico a portare la mascherina, continuava a sistemarsela sotto il mento convinto di poter così camuffare un inizio di pappagorgia.
Con lo sguardo corrucciato di chi aveva appena perso un grande affare (giacché molti affari andarono in fumo in quel tempo). Entrambi per nulla incuriositi da un mondo che erano certi sarebbe tornato tale e quale. Con eredi naturalmente formati in Inghilterra, tutti banchieri o economisti. Alla peggio, calciatori o, per eventuali ragioni ormonali, stilisti e cantanti.
silvia e Donatella provvedi silvia provvedi stile post covid stile post covid stile post covid stile post covid stile post covid stile post covid