Estratto dell'articolo di Giovanni Bianconi per il "Corriere della Sera"
Cedere la propria identità a un latitante come Matteo Messina Denaro non significa solo aiutare il primo ricercato d’Italia a sottrarsi alla cattura, ma consentirgli di «continuare a svolgere le proprie funzioni direttive nell’associazione mafiosa». Cioè il «ruolo di capo». E così, a una settimana di distanza dal padrino stragista, Andrea Bonafede, l’uomo che ha fornito nome e cognome di copertura all’esponente di Cosa nostra autore di stragi e omicidi efferati, si ritrova in carcere come lui; arrestato ieri sera dai carabinieri del Ros con l’accusa di avere fatto parte della stessa organizzazione criminale, «unitamente a Matteo Messina Denaro e ad altre persone non ancora identificate».
Il ruolo del capo Secondo il giudice Alfredo Montalto, che ha firmato l’ordine di arresto su richiesta del procuratore Maurizio De Lucia, dell’aggiunto Paolo Guido e del sostituto Pierangelo Padova, la figura di Bonafede corrisponde a quella di «un affiliato “riservato” al servizio diretto del capomafia». Categoria importante e anzi strategica, perché ha garantito al latitante malato di continuare a guidare il suo clan; persino «la disponibilità di ingenti risorse economiche», confermata al momento della cattura, «non può trovare altra spiegazione se non nella persistenza del ruolo direttivo e operativo al vertice dell’organizzazione mafiosa».
Mantenuto «anche mediante la sua presenza nel territorio» grazie ad Andrea Bonafede, l’uomo che gli ha prestato le generalità per avere accesso alle cure sanitarie, alle case in cui ha abitato, alle macchine utilizzate per spostarsi almeno negli ultimi due anni e mezzo, ma probabilmente anche prima.
Quando s’è trovato a dover fornire a carabinieri e magistrati una spiegazione per quella carta d’identità intestata a lui ma con la foto dell’uomo più ricercato d’Italia, Bonafede ha cercato di minimizzare.
l alfa romeo giulietta di matteo messina denaro 4
Versione inverosimile Secondo il suo racconto, i guai sono cominciati da un incontro occasionale, un anno fa per le strade di Campobello di Mazara, con la richiesta del boss — che lui conosceva da ragazzo avendo frequentato la stessa scuola — di aiutarlo nelle cure per il tumore che lo ha assalito; qualche giorno più tardi ce ne fu un secondo, stavolta su appuntamento, dove il boss ha chiesto carta d’identità e tessera sanitaria; la terza volta s’è parlato della casa, e Bonafede ha accettato la proposta di acquistare l’appartamento di vicolo San Vito con il denaro consegnatogli direttamente dal capomafia, da lui utilizzato per l’emissione di un assegno circolare dal proprio conto corrente postale.
Tutto qui, secondo la versione del prestanome. Alla quale pm e giudice non hanno dato la minima affidabilità. Soprattutto per l’importanza che gli inquirenti attribuiscono al rifugio di un mafioso latitante.
La regola sui «covi» La ricostruzione dell’indagato «non è minimamente credibile», scrive il gip nel suo provvedimento: «L’esperienza dell’arresto di tutti i più importanti latitanti di Cosa nostra insegna che i soggetti di vertice dell’organizzazione, per evidenti ragioni di sicurezza personale, tendono a escludere dalla conoscenza del “covo” persino la gran parte degli associati mafiosi, limitando piuttosto tale conoscenza a una cerchia più ristretta e più fedele di coassociati».
[…]
MATTEO MESSINA DENARO LATIN LOVER MEME
Un non mafioso, insomma, non può essere il custode di un segreto così importante come il rifugio di un capomafia. Ma Bonafede ha mentito anche perché la sua assistenza al padrino è cominciata molto prima di quanto da lui ammesso.
Le ricette dal dottore Il capomafia s’è operato la prima volta con il suo alias già il 13 novembre 2020. Ma già il 27 luglio 2020 aveva comprato una Fiat 500L con lo stesso documento, intestandola alla madre di Bonafede; è la stessa auto ceduta in permuta a gennaio 2022 quando il boss ha deciso di sostituirla con la Giulietta nera ritrovata dalla polizia e ancora all’esame della Scientifica.
LA CARTA DI IDENTITA FALSA DI ANDREA BONAFEDE AKA MATTEO MESSINA DENARO
Il contributo del prestanome, definito dai pm «strategico per l’attività dell’associazione mafiosa», è proseguito con l’attivazione di un bancomat a disposizione del boss sul proprio conto corrente; e ancora nel contatto con Alfonso Tumbarello, il medico di Campobello al quale Bonafede ha confessato di avere chiesto alcune ricette per farmaci e prestazioni a suo nome ma necessarie a Messina Denaro.
MATTEO MESSINA DENARO ENTRA NELLA CLINICA LA MADDALENA 1
Senza rivelargli chi fosse il vero paziente, ha detto lui ai pm, ma l’indagine a carico di Tumbarello è tuttora in corso per accertarne la consapevolezza di ciò che stava facendo.
[…] il prestanome ha pure il pedigree per essere scelto dal boss come custode di segreti: suo zio Leonardo […] è stato «reggente» della famiglia mafiosa di Campobello che ha sempre protetto la latitanza del boss. […]
alfonso tumbarello MATTEO MESSINA DENARO ENTRA NELLA CLINICA LA MADDALENA