ENZO IACCHETTI CONFESSIONS: "CON MADDALENA CORVAGLIA UN AMORE FOLLE, POI HO CAPITO CHE ERO DIVENTATO SUO PAPÀ. HO COMINCIATO A SGRIDARLA PER COSE STUPIDE". ECCO QUALI - E POI COSTANZO, RICCI ("UNO CAPACE DI FAR BOLLIRE L'ACQUA FREDDA IN UN MINUTO") E QUEL PATTO CON GREGGIO
Antonello Piroso per “la Verità”
Enzo Iacchetti non è solo il «signor Enzino» (suo nome all' anagrafe) di Striscia la notizia, dove ha iniziato a far danni - con Ezio Greggio, eterodiretti da quel marpione di Antonio Ricci - nel '94, venticinque anni fa. È anche un appassionato uomo di palcoscenico. Ha creduto a tal punto in questo spettacolo di teatro-canzone (Libera nos domine, alla Sala Umberto di Roma fino al 17 marzo) da aver impiegato due anni per scriverlo.
E da essersi fatto tatuare il titolo sul braccio. Non la facevo tipo da decorazioni corporali indelebili. «Invece è il secondo tatuaggio».
Ah. E il primo?
«Quello possono vederlo solo le signore».
Ho timore a chiederle dove sia posizionato, quindi passo oltre. Io però avevo inteso che su quel fronte avesse raggiunto, a 66 anni, la pace dei sensi.
«Ah no, non ci si metta anche lei. Per aver spiegato che, rispetto al passato, adesso prima di "accendermi" devo sentire scattare un clic in testa, come ha titolato un quotidiano? "Ora che penso meno alle donne, sono un artista migliore". E nel pezzo: "Spero di riuscire a fare ancora l' amore". Risultato? Messaggi di scherno a pioggia: "L' abbiamo sempre pensato tu fossi un eunuco, un criptogay", e via così. Ma questo è niente».
MADDALENA CORVAGLIA E ENZO IACCHETTI
Cos'altro le hanno fatto dire «a sua insaputa"?
«Un altro giornale titola, virgolettando: "Basta con Moliere e Plauto: hanno ucciso il teatro!". Una bestemmia in bocca a chiunque. Chiamo il direttore: "Mai neppure pensato; ho solo puntualizzato che bisognerebbe rappresentare di più i contemporanei, c'è differenza". Replica: "Controllo"».
Com'è finita?
«Hanno ammesso l' errore».
Mi lasci indovinare: con cinque righe nella rubrica delle lettere.
«Esatto. Un altro giornale, prendendo spunto da un' intervista a un settimanale, ha strillato: "Iacchetti: sono al verde, colpa delle scommesse", accostandomi a Marco Baldini.
Peccato io avessi spiegato che mi piace scommettere sì, ma sui giovani, producendo i loro spettacoli, quasi sempre smenandoci soldi, cosa che mi rode ma neppure tanto: io comunque sono diversamente ricco».
Cioè ricco solo di spirito?
«Come vede, sono ancora qui a tirare la carretta. Ma non mi lamento: intanto perché ho la fortuna di fare un lavoro che è la mia passione; poi ho tre appartamenti, che peraltro oggi valgono la metà di quanto li ho pagati; una pensione dignitosa, visto il 18% che ho versato per 40 anni, meritata senza impicci o scorciatoie, leggi Fornero o quote 100; non ho vizi, non mi sono fatto la barca, perché soffro il mare e vomito, non mi piacciono le auto di lusso. Però ho Lucino».
E chi è?
«Il mio bastardino. Chiamato così per l' amicizia con Lucio Dalla, che ha perfino cantato in un mio disco, Buon Natale, per una giusta causa».
Racconti.
1996 Ezio Greggio Enzo Iacchetti e le veline Lello Arena Marina Graziani Alessia Mancini
«Lei non mi crederà, ma io non parlo volentieri di beneficenza, che va fatta per sé stessi e non per farsi belli agli occhi degli altri. Faccio uno strappo solo per chiarire una cosa su Claudio Baglioni».
Bravo, gliele canti visto che non l'ha voluta al Festival...
«Non ha respinto me. Peggio: ha rifiutato una canzone di Francesco Guccini, Migranti, che peraltro è nello spettacolo teatrale. Quando Guccini lo ha infilzato: "Guarda te, il compagno Baglioni adesso parla di disperati in mezzo al mare, ma la mia canzone l' ha cestinata", lui prima ha replicato che non ne sapeva nulla - bel direttore artistico, mi verrebbe da dire - poi che comunque io non sono un cantante, e quindi era giusto così. Ma anche lui non è un presentatore, e si vede. E allora?».
Anche Giorgio Faletti non era un cantante, ma Minchia signor tenente era un piccolo gioiello. Non vedo comunque il link Baglioni-Dalla-Buon Natale.
«Mi fa piacere citi Faletti, visto che una sua canzone, Identikit, chiude il mio show. Comunque, quando ho scritto Buon Natale, ho chiesto a una serie di artisti di cui sono fan se volessero partecipare intonando una strofa. Hanno accettato tutti: Enrico Ruggeri, Roberto Vecchioni, Mina, no, dico: Mina!, cui mandai testo e musica attraverso il figlio Massimiliano, e mi spedì un file il giorno dopo; Dalla, che la canzone addirittura la fece tutta; e appunto Baglioni, che ora sostiene che non sarei un cantante».
Scusi, ma lei ha in mano un tesoretto: un' intera sua canzone, incisa da Dalla.
«Non l'ho sfruttata e non la sfrutterò mai. Sento sempre il bisogno di potermi guardare allo specchio la mattina senza sputarmi in faccia da solo. Di conseguenza, mai fatto porcate in carriera. Nonostante i tanti rifiuti patiti».
Tanti quanti?
«Uh, un' infinità. Anche al Costanzo show fui bocciato al primo provino. Tornai a fare il cameriere in un albergo al mio paese sul Lago Maggiore. Martino era piccolissimo, non potevo inseguire un sogno in eterno, mi rassegnai: va bene, vuol dire che non è cosa, e amen».
E invece...
«Siccome andandomene dal teatro Parioli avevo lasciato i fogli con le mie battute, le mie poesie bonsai...».
«Oh baco... ed è subito seta», » Se tu m' amassi... ma no, che non t' amasso»...
«Quelle. Un' altra autrice li lesse e mi telefonò: "Qui è il Costanzo show". Pensando a uno scherzo sbottai: "E io sono papa Wojtyla", e chiusi. Per fortuna richiamarono: "La mando sul palco, se poi Maurizio mi fa ok con il pollice, ritornerà. Altrimenti, arrivederci e grazie". Era il 31 ottobre 1990, avevo 38 anni, e da lì è cambiato tutto».
Anche economicamente?
«Faccia lei: ho fatto il frontaliere in Svizzera. Da cameriere, mi davano un letto per dormire e 50.000 lire al giorno. Avevo debiti ed ero in rosso in banca. Dopo quattro apparizioni al teatro Parioli, mi ritrovai con due milioni sul conto, perché Maurizio mi pagava 500.000 lire a puntata».
La popolarità le ha permesso di conoscere Giorgio Gaber.
«Sì, ma sempre partendo dalla platea. Letteralmente. Andai a vederlo, e poi a omaggiarlo a fine serata come si usa, e non mi capacitavo mi conoscesse, mi guardava in tv. Mi invitò addirittura a cena, io pensai fossimo una comitiva. Invece eravamo solo io e lui, e io non sapevo cosa dire per la timidezza. Lo sono sempre stato, timido, anche se magari non sembra. A scuola speravo la maestra facesse sempre il dettato, così io potevo starmene zitto».
Anche con Guccini andò così?
«La figlia di Gaber, Dalia, mi propose di presentare un'edizione del festival in memoria del padre. C' era anche Guccini. Gli confessai la mia ammirazione. E lui: "Dite tutti così, ma poi a Pàvana a trovarmi non viene nessuno". Ho ribattuto: se mi inviti, son già lì. Allora per sfidarmi mi fa: "Ci vediamo il 5 agosto". E io con mio fratello il 5 agosto ci siamo presentati lì nel paesello sull'Appenino toscoemiliano».
Come vi ha accolto il Maestro?
«Era davanti alla tv a guardare Emilio Fede al Tg4: "È ipnotico, un vero talento comico". Aveva organizzato in piazza una recita della compagnia dialettale con un testo da lui tradotto dal greco. Solo che quel giorno si mise a piovere».
Peccato: pensi che cosa si è perso. Una piece che avrebbe fatto stramazzare il rinoceronte di Ionesco.
«Ma che dice? E poi: chi se l' è persa? Guccini ha fatto aprire la scuola elementare, montare il palchetto in un'aula, e lo spettacolo di due ore l' hanno fatto comunque. Per noi quattro: Guccini, sua moglie, io e mio fratello. Se non altro, potevamo fumare, all' epoca avevo ancora il vizietto».
Tra i giovani che segue nei loro primi passi in teatro c'è suo figlio Martino. Lo bacchetta?
«Certo, quando serve. Nessuno nasce "imparato", e a maggior ragione, se non vuoi essere etichettato come "il figlio di", devi metterci ancora più impegno».
In un'intervista ha spiegato: «In questo momento il teatro è come la sinistra: non offre nulla».
«Non lo sapevo, ma non ha torto».
Parla l' ex comunista che è in lei? A 18 anni era consigliere comunale per il Pci.
«È vero, ho avuto il mito di Enrico Berlinguer, poi ho smesso perfino di andare a votare».
Ci è tornato nel 2013 e nel 2018 per votare M5s. Ho visto un video in cui parlava dello «scandalo» degli aerei F35 che l' Italia non avrebbe dovuto comprare. Deluso dalla retromarcia fatta sul punto dai 5 stelle al governo?
«Certo, e non solo per gli F35. Come me, anche altri che li hanno votati hanno l' amaro in bocca. Arrivati al vertice, sono apparsi più impegnati ad accaparrarsi seggiole e poltrone, che a mantenere le promesse».
Tra l'altro apparendo totalmente succubi di Matteo Salvini, che con la metà dei voti presi il 4 marzo si comporta da vero capo del governo, crescendo così nei sondaggi a spese loro.
«Di Salvini non mi piace il modo di porsi, di affrontare i problemi, il linguaggio e il messaggio basato sull'amplificazione delle paure della gente, soprattutto delle fasce più deboli e meno protette che la sinistra ha progressivamente dimenticato. Del resto, Umberto Bossi non era pure lui nel Pci? E Roberto Maroni non simpatizzava per Democrazia proletaria?».
Qualcuno era comunista, come cantava Gaber. Anche qui: rimpianti?
«Gaber stesso alla fine non ne poteva più di etichette e slogan, c' ha fatto addirittura una canzone Destra-sinistra. Ed era il '94, l' anno del mio debutto a Striscia. No, guardi, ho un solo vero, grande rammarico».
Quale?
«Che mio padre non mi abbia visto "arrivato". Se n' è andato troppo presto, a 56 anni, io ne avevo 21. Voleva facessi il ragioniere, perché considerava lo spettacolo un ambiente di drogati, mignotte e raccomandati. Ecco, se potessi vorrei dirgli: hai visto papà? Ce l' ho fatta senza prostituirmi, rimanendo me stesso. E non per ripicca, anzi: con riconoscenza e gratitudine. Per ciò che mi ha insegnato. E perché la prima chitarrina, rimediata chissà dove, tutta ammaccata, me la portò a casa proprio lui».