Filippo Fiorini per “la Stampa”
Dall'esterno sembrava una casa tranquille. Una plurifamigliare tra peri e girasoli che ieri esponeva una bandiera della pace sul fronte e un lenzuolo della scientifica sul retro. Quella stessa abitazione era già stata visitata molte volte dalle forze dell'ordine di Castelfranco, il comune modenese che rivendica l'invenzione del tortellino.
Tanto che quando verso mezzogiorno un vicino ha sentito le urla, si è domandato se fosse il caso di chiamare nuovamente il 112. Poi, sono arrivati gli spari e non ha più avuto dubbi.
Si è affacciato alla finestra e ha visto un ragazzo scavalcare la siepe e fuggire per i campi. Era il figlio diciassettenne di Salvatore Montefusco che aveva appena visto suo padre uccidere a fucilate la madre, Gabriela Trandafir, e la sorellastra, Renata, donne che lo avevano denunciato più volte per maltrattamenti e atti persecutori.
Tutti avevano paura di quest' uomo, 69 anni, napoletano emigrato al Nord, muratore in pensione, con precedenti penali per reati violenti e la passione dei cavalli. Alcuni, hanno paura ancora adesso che è stato fermato con l'accusa di duplice femminicidio e difficilmente sfuggirà dalla custodia cautelare in carcere.
Dicono che dava facilmente in escandescenze. Gli inquirenti hanno confermato che tra lui e la moglie c'erano state numerose denunce reciproche. Prima lei e la figlia avevano querelato lui per maltrattamenti in famiglia, furto, atti persecutori, accusandolo di aver installato un Gps in macchina per pedinarle. Poi, Montefusco aveva denunciato entrambe, dichiarando di aver subito percosse.
L'ultima denuncia, quest' uomo ben piantato l'ha rivolta contro sé stesso, telefonando da un bar ai carabinieri per confessare il delitto di ieri, quando ormai questi erano già in strada per raggiungere il posto in cui l'aveva commesso.
La madre di un ex compagna di classe della ragazza, accorsa con la figlia appena appreso della tragedia, ha raccontato in lacrime che quello stesso giorno Montefusco e la Trandafir avevano appuntamento in tribunale per porre definitivamente fine alla loro relazione matrimoniale.
renata e gabriela gabriela trandafir salvatore montefusco
Oggi, 14 giugno, si sarebbero dovuti vedere in sede penale per chiarire la faccenda della denuncia per percosse che aveva sporto lei.
L'amica, ha detto che il giorno prima anche Renata aveva confessato di avere paura di quell'uomo, «paura che faccia qualcosa, perché è cattivo», e paura che, con la separazione in mano, avrebbe sbattuto fuori di casa lei, la madre e il fratellastro.
Ma l'avevano tranquillizzata dicendole che, essendo quest' ultimo minorenne, il patrigno non avrebbe potuto privarle dell'alloggio.
Con la stessa logica, un uomo già denunciato dalla moglie per violenze non avrebbe nemmeno potuto detenere un fucile a canne mozze, che infatti aveva la matricola cancellata e si presume tenesse nascosto.
Non avrebbe neanche potuto avvicinarsi, poiché esiste un protocollo d'emergenza chiamato «Codice Rosso», che dovrebbe garantire protezione in tempi rapidi. Chissà dov' è nato il corto circuito che ha fatto sì che Montefusco riuscisse a usare il suo fucile contro la donna che lottava per lasciarlo e anche contro la figlia, che lei aveva avuto da una precedente relazione.
Gabriela, 47 anni, era disoccupata, mentre Renata, 22 anni, lavorava al guardaroba in un locale notturno di Modena.
Aveva studiato moda in un istituto professionale in città, e mentre sua mamma doveva essere in tribunale, lei aveva un colloquio di lavoro in quest' ambito. Ora, il futuro prossimo di colui che è sospettato di aver commesso il 39esimo ed il 40esimo femminicidio italiano nel corso del 2022, è nelle mani della sostituto procuratore Francesca Graziano, arrivata subito sulla scena del crimine. Un crimine che, come quasi tutti gli altri di questo genere, aveva dato le sue avvisaglie.