Giuliano Foschini per “la Repubblica”
Capita ormai sempre più spesso a Palazzo Chigi, in Parlamento, ma anche nei corridoi di Finmeccanica, Mediaset e delle più importanti aziende italiane, di vedere manager o stretti collaboratori delle più alte cariche di governo tirare fuori dalle tasche telefoni che sembrano reperti archeologici: vecchi Nokia, Ericsson, c’è qualcuno che giura persino di aver visto uno Startac. Bene, non è tornato di moda il modernariato.
Ma, soprattutto nei palazzi che contano, impazza una nuova grande paura: quella dei software che spiano. Evocati per anni come leggenda metropolitana tipo i coccodrilli nelle fogne di New York, apparsi sfocati nell’indagine sul Luigi Bisignani (con il file spia “Querela”), i trojan in grado di rendere un qualsiasi smartphone una microspia, o peggio ancora una telecamera sempre accesa, un rilevatore gps, insomma la possibilità che ciascuno smartphone ha di spedire il suo proprietario nella casa del Grande Fratello, è chiaro a tutti si tratti ormai non di fantascienza ma di cronaca.
Lo dimostra anche l’ultima inchiesta sugli appalti e la camorra di Napoli dove il Samsung Galaxy S4Gt dell’imprenditore Guglielmo La Regina (per intendersi l’amico del compagno del ministro Beatrice Lorenzin) grazie a uno di questi trojan è diventato una potente microspia in grado di registrare tutte le conversazioni ambientali.
«Un’arma atomica» spiega un investigatore. Per alcuni, dunque, l’unica maniera per difendersi è usare vecchi telefonini che avendo software obsoleti, niente telecamera, connessione a Internet e possibilità di essere localizzati, rendono più difficile la vita a chi vuole intercettarli. Sia in maniera legale sia illegittimamente visto che trojan di questo tipo vengono usati molto spesso anche da aziende concorrenti.
Ecco perché si suggerisce di usare i tablet per le mail e la messaggistica e di limitare l’uso dei telefoni agli sms e alle chiamate. Le ultime polemiche sono state sollevate in queste ore proprio sul caso Regeni con il governo che è stato chiamato a rispondere in parlamento sui rapporti di Hacking Team (la società italiana che ha brevettato il sistema di controllo in remoto) con l’Egitto: il timore, fin qui smentito, è che il loro software possa essere stato usato contro Giulio.
Ma il problema è soprattutto interno. Tanto importante da essere diventata questione giurisprudenziale: nelle prossime ore le Sezioni unite della Cassazione dovrebbero, una volta per tutte, dire cosa, quando e dove è legittimo registrare, esprimendosi su un ricorso di un imputato per mafia.
Molto interessante la memoria depositata dall’ex procuratore aggiunto di Roma, oggi avvocato generale, Nello Rossi, e dal sostituto procuratore generale, Antonio Balsamo: «È legittimo scrivono - nutrire preoccupazioni per le accresciute potenzialità scrutatrici ed acquisitive dei virus informatici , suscettibili di ledere riservatezza, dignità e libertà delle persone. Ma è del pari legittimo ricordare che solo siffatti strumenti sono oggi in grado di penetrare canali “criminali” di comunicazione o di scambio di informazioni utilizzati per la commissione di gravissimi reati contro le persone».
Che fare quindi? In attesa che la tecnologia permetta di spegnere e accendere il microfono, bisognerebbe «negare - scrivono - legittimità al ricorso a virus informatici nell’ambito delle intercettazioni per reati diversi da quelli di criminalità organizzata ». Per mafia e terrorismo, quindi, gli spy software dovrebbero essere permessi.
Ma intanto cresce la corsa ai vecchi telefoni: un Nokia 3310 su Amazon costa fino a 100 euro, nei forum spesso chiedono dove possono essere comprati. «È però - spiega Andrea Zapparoli Manzoni, uno dei maggiori esperti italiani di sicurezza informatica - una
leggenda metropolitana che siano più sicuri. Sono diversamente insicuri diciamo, cioè insicuri per motivi diversi: meno funzioni ha il telefono e meno funzioni può sfruttare il captatore, ma uno bravo è in grado di fare tutto».
L’alternativa sono le chat protette: sono «limitatamente sicuri» Whats’app, Signa Telegram, il sistema di messaggistica che ti permette di inviare messaggi che si autodistruggono. E di sapere se l’interlocutore fa un autoscatto (screen shot) della pagina della conversazione. Per dire: Repubblica pubblica la notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati del sottosegretario alla Salute, Vito De Filippo. All’alba, sul telefono di tutti i suoi contatti arriva una notifica: «Vito si è iscritto a Telegram».