1 – IL PREMIER E IL CASO REGENI «AL SISI NON MI ASCOLTA MA NON POSSIAMO ROMPERE»
Cristiana Mangani per “il Messaggero”
Se e in che modo l'Egitto vorrà collaborare con l'Italia sul caso Regeni, si saprà concretamente il primo luglio, quando il procuratore di Roma, Michele Prestipino, incontrerà in videoconferenza il procuratore generale egiziano, e gli chiederà, per l'ennesima volta, tabulati telefonici e domicilio dei cinque membri dei servizi segreti, indagati perché considerati i responsabili dell'omicidio del giovane ricercatore friulano.
Serve l'indirizzo di ognuno di loro per potergli notificare gli atti e avviare così un processo. Ma le speranze sono poche, e il premier Giuseppe Conte, ascoltato dai membri della Commissione parlamentare che indaga sul caso, ha mostrato necessità e limiti di un rapporto del quale l'Italia non sembra poter fare a meno, proprio per gli equilibri nel Mediterraneo, per la questione migratoria, per la vicenda libica.
È un'audizione molto sofferta, quella che il presidente del Consiglio ha tenuto fino a tarda sera davanti ai componenti della Commissione. L'incontro era stato chiesto per avere spiegazioni urgenti, dopo la telefonata del 7 giugno con il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, durante la quale è stata confermata la vendita al Cairo di due fregate Fremm della Marina militare italiana. Un affare che è solo l'inizio di una operazione economica da svariati miliardi.
L'IMPEGNO
Conte ha esordito ribadendo che il nostro Paese non ha mai mollato la presa e che ogni dialogo con al Sisi è servito a riportare la questione al centro della discussione. «L'ho incontrato 6-7 volte - ha dichiarato -. Parlare guardandosi negli occhi ed esprimendo tutto il rammarico vis a vis non ha portato a risultati, non sono stato capace.
L'ho detto alla famiglia Regeni quando l'ho incontrata. Loro erano dispiaciuti del fatto che con la rappresentanza diplomatica al Cairo non ottenessimo risultati, ho detto che se la devono prendere con me che incontro al Sisi. Se c'è incapacità di raggiungere risultati maggiori lo potete imputare a me direttamente».
Il premier ha spiegato anche che non c'è più stata, e non ci sarà, una visita di Stato al Cairo, «fino a quando non riusciremo a compiere significativi passi avanti in questa direzione». E che gli incontri sono avvenuti durante riunioni internazionali. Ha poi confessato che «tante volte ha avuto la tentazione di alzarsi e andare via».
«Ma una reazione istintiva - ha ammesso - avrebbe portato a un irrigidimento e allo stop del confronto. Invece, se otterremo qualche risultato sarà insistendo, perseverando, continuando a battere i pugni sul tavolo. Sviluppi ci sono stati, non è stata una completa stasi. C'è stato l'alternarsi delle autorità giudiziarie al Cairo. Allo stato, è meglio un dialogo franco e a tratti frustrante, piuttosto che l'interruzione dei rapporti».
Insomma, se l'Italia fa affari con l'Egitto, nonostante non ci sia ancora la verità sulla fine atroce di Giulio Regeni, è perché le due questioni sono separate ma unite allo stesso tempo. Perché se da una parte la vendita delle navi riguarda la nostra industria e l'economia che ha necessità di ripartire, dall'altra mantenere buoni rapporti con l'Egitto può aiutare anche a ottenere informazioni e collaborazione.
Soprattutto mentre sul terreno continuano a lavorare gli uomini dell'Aise, il servizio segreto esterno, e la Farnesina. «Per Giulio pretendiamo giustizia - ha insistito il premier - Ma attendiamo ancora dall'Egitto una manifestazione tangibile di tale volontà».
LE ARMI
I membri della Commissione hanno poi chiesto della vendita di armi con il paese Nord africano, che è regolarmente ripresa. Riccardo Magi, deputato di Radicali italiani+Europa, ha insistito affinché la vicenda diventi un caso europeo. Conte ha chiarito di aver più volte portato il caso a Bruxelles. Poi ha chiesto di secretare l'ultima parte di audizione, per riferire sulle parole di Al Sisi: «Mi sembra corretto che le affermazioni di un premier o capo di stato restino riservate».
2 – IL PREMIER TENTA IL RILANCIO L'ULTIMA PARTITA COL CAIRO SI GIOCA SULLE DODICI DOMANDE
Giuliano Foschini per “la Repubblica”
«Atti e non più soltanto dichiarazioni di disponibilità». Quello che il premier Giuseppe Conte ha aperto ieri davanti alla commissione parlamentare d'inchiesta sulla morte di Giulio Regeni è, di fatto, l'ultimo rilancio possibile nei rapporti dell'Egitto, per ottenere «quella verità sulla quale saremo inflessibili».
C'è una data indicata: il primo luglio, quando la Procura generale del Cairo tornerà dopo mesi di silenzio a parlare con i magistrati di Roma. E c'è un percorso: l'Egitto dovrà rispondere ad alcune delle richieste contenute nella rogatoria inviata dalla Procura di Roma a fine aprile del 2019 al Cairo.
Dodici domande, fin qui rimaste senza risposta. Come le tante altre fatte in questi quattro anni. Il rilancio del premier in commissione arriva dopo giorni molto complicati. Conte sperava di portare già oggi qualche fatto: per esempio la certezza che il Cairo rispondesse alla rogatoria italiana, per lo meno nella sua richiesta più semplice, l'indirizzo degli indagati per poter eleggere il domicilio.
E contava in un «atto simbolico» nelle sue mani: la riconsegna alla famiglia dei vestiti di Giulio. Ne era convinto perché lo erano anche gli uomini dell'Aise (il nostro servizio di intelligence estera), che da anni lavorano al caso Regeni, e che nei loro ultimi e frequenti viaggi al Cairo avevano trovato sponde nei colleghi egiziani.
Conte ne era convinto perché rassicurazioni di questo tipo erano arrivate direttamente dal Cairo, dagli uomini più vicini al presidente Al Sisi. E invece così non è stato. L'Egitto al momento non ha formalizzato alcun passo in avanti. Non solo: nelle ultime ore, la richiesta principale - o almeno quella che sembrava essere più facilmente raggiungibile - e cioè la comunicazione di domicilio dei cinque indagati in modo poi da poterli processare, sembra essere diventata un passo molto complicato.
«Non impossibile, però» dicono, speranzose, fonti di intelligence. Da qui al primo luglio, fanno notare - quando la procura generale del Cairo tornerà, dopo mesi di silenzio, a parlare con i magistrati di Roma - potrebbero ancora succedere molte cose.
Per capire cosa si sta muovendo, è utile utilizzare come punto di partenza la lettera che il ministro degli Esteri Luigi di Maio ha inviato al suo collega egiziano, Sameh Hassan Shoukry. «La mancata risposta da parte delle autorità giudiziarie egiziane alla richiesta della Procura rappresenta un grave impedimento al raggiungimento della verità » scrive Di Maio.
Il cuore, dunque, sono le dodici domande consegnate dalla procura di Roma nella rogatoria di fine aprile del 2019. La principale riguardava un possibile riscontro alle dichiarazioni raccolte da un keniano che aveva raccontato di aver ascoltato, nel corso di un incontro istituzionale, un poliziotto egiziano raccontare a un collega keniano di aver partecipato al sequestro di Giulio.
LUIGI DI MAIO CON MASCHERINA TRICOLORE
«Lo abbiamo preso - avrebbe raccontato - Io sono andato e dopo averlo caricato in macchina abbiamo dovuto picchiarlo. Io l'ho colpito al volto». La Procura di Roma ha chiesto al Cairo possibili riscontri a quell a testimonianza: e cioè se effettivamente, in quel periodo, la National security egiziana aveva partecipato a un incontro con altre polizie africane. E, in caso di risposta affermativa, se all'incontro avesse partecipato uno dei cinque agenti indagati. L'Egitto non ha mai risposto.
Nulla ha detto il Cairo, inoltre, sulla richiesta di informazioni sugli altri agenti individuati grazie ai tabulati telefonici e alle indagini difensive dell'avvocata Alessandra Ballerini. La Procura di Roma aveva poi espresso la volontà di ascoltare nuovi testimoni dopo che l'Egitto aveva già negato di interrogare i cinque agenti indagati. E soprattutto c'era la richiesta di eleggere un domicilio per poter notificare gli atti indagati.
manifestazione per giulio regeni
Per semplificare si tratta della comunicazione di un indirizzo, un atto apparentemente banale, che gli uomini di Al Sisi avevano indicato in un primo momento come una strada percorribile. E che invece nelle ultime ore, spiazzando il Governo italiano, sembra essere diventata una strada in salita.
FIACCOLATA PER GIULIO REGENI GIULIO REGENI CON LA FAMIGLIA Giulio Regeni