Estratto dell’articolo di Enrico Marro per il “Corriere della Sera”
Tutti coloro che sono nati dal 1960 in poi sono destinati, secondo le attuali norme di legge, a subire un aumento dei requisiti per accedere alla pensione, ora fissati (per chi ha versato contributi prima del 1996) a 67 anni d’età (con 20 di contributi) per la pensione di vecchiaia e, per la pensione anticipata, a 42 anni e 10 mesi di contributi (un anno in meno per le donne) indipendentemente dall’età.
Chi è nato nel 1960 avrà infatti 67 anni nel 2027, quando è previsto il nuovo adeguamento dei requisiti alla speranza di vita, che dal 2019 ad oggi, per via della mortalità da Covid, non ha provocato l’aumento delle soglie.
Ma dal primo gennaio 2027, ha stimato l’Istat, sentita in audizione in Parlamento, dovrebbero scattare 3 mesi in più: «Rispetto agli attuali 67 anni, si passerebbe a 67 anni e 3 mesi dal 2027, a 67 anni e 6 mesi dal 2029 e a 67 anni e 9 mesi a decorrere dal 2031, per arrivare a 69 anni e 6 mesi dal 2051». Queste stime sono elaborate dall’Istat sulla base dell’aggiornamento delle previsioni demografiche dell’Italia, diffuse lo scorso 24 luglio.
[…]quasi 70 anni (69 anni e 10 mesi, per la precisione) dal 2055.
Ed è bene sottolineare che queste stime si basano sullo «scenario mediano» dell’Istat, che tiene conto anche di un flusso netto di circa 230mila migranti l’anno fino al 2030, che poi scenderebbe a 170mila l’anno fino al 2050.
Ma esistono anche scenari più negativi, dove i residenti in Italia, anziché scendere dagli attuali 59 milioni a 54,8 milioni nel 2050 (scenario mediano), crollerebbero a 52,7 milioni, con un graduale peggioramento del rapporto tra persone in età da lavoro e il resto della popolazione.
Si tratta di tendenze che metteranno a dura prova la tenuta del sistema
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