Anna Guaita per il Messaggero
Dopo settimane di negoziati, Nancy Pelosi è riuscita a tirare il coniglio fuori dal cappello e consegnare a Joe Biden l'agognata vittoria sulle infrastrutture. Il sospiro di sollievo del partito democratico e della Casa Bianca è stato quasi udibile, anche se la vittoria è arrivata troppo tardi per salvare il partito dalla sconfitta elettorale dello scorso martedì in Virginia e dall'imbarazzo della vittoria per un soffio nel solitamente fedele New Jersey.
Il rammarico per le sconfitte è stato comunque accantonato, mentre tutti festeggiavano il passaggio di una legge che finanzierà la ricostruzione dell'America. Il presidente Biden, evidentemente felice, ha riconfermato che il milione e mezzo di posti di lavoro che essa creerà ogni anno per i prossimi otto anni saranno appannaggio in gran parte di americani non laureati, quelli più sofferenti per l'esplosione della globalizzazione.
Forse con un pizzico di grandiosità ha esclamato: «È un passo monumentale. Le prossime generazioni vedranno nella giornata di oggi quella in cui l'America cominciò a vincere la sfida del 21esimo secolo». Che sia monumentale non ci sono dubbi, ma anche più monumentale sarebbe il terzo pacchetto di finanziamenti (un primo era già passato a marzo, l'American Rescue Plan, di 1900 miliardi di dollari), che dovrebbe stanziare 1800 miliardi per riforme sociali e ambientali.
Il voto per questo finanziamento slitta al 15 novembre, dopo un sofferto negoziato fra le due anime del partito, la progressista e la moderata. Nella notte di venerdì, sei progressisti irriducibili, fra cui Alexandria Ocasio-Cortez, hanno comunque espresso disaccordo per lo slittamento e hanno votato no alle infrastrutture. Pelosi è riuscita a riparare alla defezione ottenendo invece il sì di 13 repubblicani. Dopotutto la legge è immensamente popolare e in effetti mette tutti d'accordo: è appoggiata dagli agricoltori, dai sindacati e dalle aziende.
Mille e duecento miliardi di dollari andranno a rimodernare le infrastrutture che una volta erano il vanto degli Stati Uniti ma che per le economie degli ultimi 50 anni si sono ridotte in cattivo stato: 110 miliardi sono stanziati per ricostruire strade e ponti, 75 per la rete elettrica, 66 per quella ferroviaria, 55 per quella idrica, 65 per la creazione di wi-fi veloce, soprattutto nell'America rurale e provinciale. E così via.
AUTO ELETTRICHE Da sottolineare anche lo stanziamento di 7 miliardi e mezzo per creare una rete di ricariche per le auto elettriche, su cui Biden conta nel suo progetto di fare degli Stati Uniti un esempio di lotta in difesa dell'ambiente. Per il presidente, questo non è il primo successo, considerato che il pacchetto di soccorso per la pandemia a marzo è stato non inferiore quanto a vastità, ma è il primo successo dopo un'estate che ha visto l'uscita caotica dall'Afghanistan e il complicarsi dell'intasamento della supply chain con la ricaduta di un aumento dell'inflazione.
La serie di guai è costata la sconfitta in Virginia per il seggio di governatore e la quasi sconfitta nel New Jersey, e ha messo le fiamme alle calcagna del partito spaventato di perdere anche alle elezioni di metà mandato l'anno prossimo. Che è poi quello che promette Donald Trump, critico sul pacchetto («Se passa l'agenda Biden gli americani saranno tartassati»), e forse anche un po' invidioso per non essere mai riuscito a portare alla discussione le infrastrutture, nonostante nei suoi primi due anni di presidenza avesse avuto sia la Camera che il Senato in mano al suo partito.