Alessandra Roncato per “Weekend - la Repubblica”
Cos' hanno in comune Elton John e Giovanni Paolo II? Hanno condiviso lo stesso stilista: Jean-Charles de Castelbajac. I Kiss e Sylvester Stallone? Lo stesso calzolaio: Pasquale Di Fabrizio, italiano trasferitosi negli Usa nel 1961 e soprannominato " Shoemaker to the Stars".
Freddie Mercury e Lady Diana? Hanno indossato abiti firmati dalla stessa coppia di designer ( nel caso della principessa, si trattava addirittura dell' abito di nozze): David ed Elizabeth Emanuel. E, fatta eccezione (forse) per il Papa diventato santo, non sono solo coincidenze.
"I musicisti, oltre a suonare, dettano l' agenda stilistica ai brand della moda o diventano i loro migliori testimonial", sostiene Matteo Guarnaccia nell' introduzione al suo libro Dagli Abba a Zappa. I vestiti della musica ( Centauria, 128 pagine, 24,90 euro).
Nel volume ( che sarà presentato a Milano il 10 ottobre alle 18 presso la Vivienne Westwood boutique di Corso Venezia) l' autore, artista, saggista e storico del costume ( nel design ha lavorato, tra gli altri, con Bruno Munari e ha collaborato anche con Corso Como 10 e Vivienne Westwood), disegna una mappa dei guardaroba musicali più fortunati e iconici della storia.
E se è vero che la dichiarazione dei diritti dell' uomo firmata a Parigi nel 1793 ammoniva che "Nessuno può imporre a uomo o donna che sia, un modo particolare di abbigliarsi", è anche vero che è stato il rock' n'roll poco più di mezzo secolo fa a liberarci definitivamente dalle imposizioni sociali in fatto di stile.
«Mi vesto come voglio, non sono né un pavone né un modello, sono un artista » , diceva John Lennon. Ma intanto milioni di persone imitavano il suo look, dagli occhialetti rotondi ( volutamente uguali a quelli forniti dalla mutua inglese agli indigenti) alla camicia dell' esercito ( che a lui, antimilitarista convinto, aveva regalato un reduce della guerra di Corea).
dagli abba a zappa. i vestiti della musica
E sono proprio i " non look" delle rockstar, racconta Guarnaccia, quelli che più hanno ispirato i grandi marchi di moda. Basta pensare al casual sciatto dei Grateful Dead ( « Ci vestivamo con vecchi abiti presi all' Esercito della Salvezza», disse a proposito il frontman Jarry Garcia) e dei loro fedelissimi fan, i deadhead, studiato e riproposto da Prada. O allo "smile dopato" disegnato all' inizio degli anni Novanta da Kurt Cobain dei Nirvana rilanciato quest' anno da Marc Jacobs. Alla band di Seattle si devono anche le grunge layers, le camicione plaid rilanciate da Saint Laurent nel 2014.
Merito della musica quindi, dalle paillettes degli Abba agli abiti a fiorellini di Zappa, passando per la bicromia rosa/nero di Elvis Presley, se oggi possiamo giocare senza paura con il nostro guardaroba. Con buona pace del ribelle per eccellenza, Mick Jagger dei Rolling Stones, che oggi dice: « La gente non si veste più come una volta. Dire che mi manca quel modo di abbigliarsi normale potrebbe sembrare stupido, proprio perché sono stato io uno dei primi a rompere le regole. Eppure è così! ».
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