Estratto dell’articolo di Anna Zafesova per “la Stampa”
Dopo quasi due anni, Vladimir Putin torna a parlare a un vertice del G20, seppure soltanto in forma virtuale, da uno schermo, e coglie l'opportunità per ribadire immediatamente tutte le sue posizioni e le sue ragioni per quello che dal suo punto di vista è un «tentativo di ottenere giustizia in Ucraina».
Anzi, risponde ai capi di Stato e di governo che criticano l'invasione russa con una raffica di accuse: «Alcuni colleghi si dichiarano sconvolti per l'aggressione della Russia in Ucraina, e la guerra e la morte non possono non sconvolgere. Perché non sono sconvolti dal sanguinoso golpe in Ucraina nel 2014, e dalla guerra del regime di Kyiv contro il proprio popolo nel Donbass?».
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Chi si aspettava che Mosca avrebbe utilizzato il rientro in un vertice internazionale di serie A per provare a lanciare un'iniziativa negoziale, rimane deluso. Anche la frase su una Russia che «vuole fermare la tragedia della guerra e non si è mai rifiutata di condurre trattative di pace», rilanciata dai molti media internazionali, è stata pronunciata non nel contesto di un'apertura, ma come polemica: «Non è stata la Russia, è stata l'Ucraina a dichiarare pubblicamente di interrompere il processo negoziale».
Un discorso che molti dei presenti al vertice virtuale del G20 ascoltano con espressione di pietra, forse pensando a Joe Biden e Xi Jinping, che entrambi hanno scelto di disertare l'appuntamento.
L'imbarazzo di sedere allo stesso tavolo – seppure metaforico – con un leader ricercato dal Tribunale internazionale dell'Aja per crimini di guerra non viene giustificato da alcuna esigenza diplomatica: come aveva già fatto in passato, Putin utilizza le poche occasioni internazionali che gli restano ancora per rivendicare le sue ragioni, e imporre il suo quadro di realtà alternativo che spinge la presidente del Consiglio Giorgia Meloni a ribattere che, se vuole la pace, la Russia non ha che da ritirarsi dai territori ucraini occupati illegalmente.
Ma il presidente russo insiste per spostare l'attenzione altrove e denuncia «lo sterminio della popolazione civile della Palestina». Invece di promettere la restituzione dei bambini ucraini deportati – il capo d'accusa per il quale è stato incriminato all'Aja – preferisce interrogare i suoi interlocutori se «non sono sconvolti dai bambini operati col bisturi senza anestesia» a Gaza, trasformata in «un'enorme cimitero di bambini».
xi jinping vladimir putin a pechino
La violenza senza precedenti dell'attacco verbale contro Israele segna probabilmente la fine dell'alleanza politica con Benjamin Netanyahu. Putin sposa senza se e senza ma la retorica filopalestinese, allineandosi a Recep Tayyip Erdogan che denuncia «il limite di umanità oltrepassato da Israele» e accusando della crisi mediorientale gli Stati Uniti che avrebbero «monopolizzato» la regione a scapito di altri grandi giocatori e mediatori, tra cui la Russia.
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VLADIMIR PUTIN NARENDRA MODI XI JINPING
Putin sceglie di recuperare la retorica anti-israeliana e filoaraba dell'epoca sovietica, ritenendo probabilmente molto più importante in questa fase l'alleanza militare con l'Iran. Resta da capire quale sarà a questo punto la posizione di Israele, che finora non aveva aderito alle sanzioni contro la Russia, non aveva fornito (almeno non ufficialmente) armi a Kyiv, e aveva fatto da sponda a capitali e commerci della nomenclatura e degli oligarchi russi. Per Mosca, la scelta di schieramento appare ormai quasi scontata: se l'Occidente è con Israele e Ucraina, bisogna stare con i loro nemici.
Logico, quindi, che Putin torna alla sua retorica "anticoloniale" contro quello che chiama «l'Occidente collettivo», colpevole secondo lui anche dell'inflazione globale. Che, secondo Putin, non è colpa della guerra che ha lanciato, ma «delle iniezioni di trilioni di dollari ed euro» e da «una agenda ambientale faziosa» diretta a «favorire nella concorrenza singoli Paesi».
Due discorsi che probabilmente Mosca ritiene possano piacere ad alcune nazioni del "Sud globale", che Putin corteggia da diversi mesi (ieri ha confermato anche l'invio di grano russo gratuito nei Paesi più poveri dell'Africa, in cambio dei cereali ucraini bloccati nei porti). Putin ha già cercato di soffiare sul risentimento postcoloniale delle potenze emergenti al vertice con l'Unione Africana a Mosca e a quello con i BRICS in Sudafrica, l'estate scorsa.
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Del resto, il vertice virtuale voluto dall'India otto giorni prima della fine della sua presidenza nel G20 – con un ordine del giorno che lo stesso Cremlino fino a ieri mattina annunciava come poco "politico", dedicato all'economia e al clima – può essere stato un favore fatto da Narendra Modi al presidente russo in cerca di tribune internazionali. E il prossimo presidente di turno sarà il Brasile di Lula, un altro leader dei Brics che nella guerra contro l'Ucraina si era mostrato incline ad ascoltare le ragioni della Russia.
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