Elena Tebano per il Corriere della Sera
Gurpreet Singh spunta da un capannone malmesso nell' aria quieta della sera, l' odore di concime che dai campi riempie le narici. La grande immagine di un hipster barbuto sulla sua maglietta sembra il riflesso della sua faccia, l' unica differenza è il turbante. «Sono appena tornato dal lavoro, non ho fatto in tempo a cambiarmi», si scusa.
È insieme a un gruppetto di altri uomini, a una donna e a una ragazza nel «gurdwara», per i Sikh insieme luogo di culto e di ritrovo, a Rodigo, campagna mantovana. Sul davanti un cortile dove si accumulano sacchi della spazzatura e oggetti in disuso, dietro un enorme spazio ordinato.
Fino a qualche tempo fa l' edificio serviva a raccogliere i meloni, adesso ogni domenica ospita fino a duemila fedeli di questa religione, tutti originari del Punjab indiano. Ce ne sono una sessantina di templi così in Italia, frequentati dai 150 mila Sikh che vivono nel nostro Paese. In maggioranza (il 61% secondo Balraj Singh, 37enne novarese che è uno dei leader religiosi della comunità) sono uomini, ventimila bambini che frequentano la scuola dell' obbligo e sono «perfettamente integrati», dice Balraj.
Gurpreet, 25 anni, lavora in un calzaturificio. Si è alzato alle sei per recitare le cinque preghiere del mattino previste dal rito sikh, che risale al 1699.
Come Jasbir Singh, 55 anni, che è un sacerdote, e Pelia Harwinderpal Singh, 40 anni, bracciante agricolo, in piedi dalle quattro (il cognome uguale per tutti è uno dei tratti distintivi della religione), Gurpreet ha cambiato il velo leggero che porta di notte sostituendolo con il turbante, dopo aver pettinato i capelli con il kangha , il pettine di legno che si lascia nella capigliatura e simboleggia la pulizia anche morale dei fedeli.
Poi è andato al lavoro: «guadagnare lavorando onestamente» è uno dei tre comandamenti del culto sikh, insieme a «ricordare il Creatore in ogni momento» e «condividere il guadagno». «Il tasso di criminalità della nostra comunità è zero», dice con orgoglio Balraj. «Li vediamo sempre, sono molto tranquilli - conferma Luigi, cameriere siciliano di un ristorante vicino -.
Con alcuni di loro ho anche lavorato: tutte persone per bene». Continua Balraj: «Il 37% dei Sikh d' Italia lavora nell' industria, il 33 nell' agricoltura».
È l' unico che parla perfettamente l' italiano. Gurpreet si scusa per il suo, che pure è buono: «Capisco peggio di come parlo, sarei voluto andare a scuola ma non ho potuto: sono arrivato nel 2008, in piena crisi, e mio padre non aveva lavoro». Nessuno degli uomini presenti ha il pugnale rituale: «Lo possono portare solo i battezzati, e - dice - non tutti lo sono» anche perché non c' è un età massima o minima per farlo. Però hanno barba e capelli lunghi: «Si diventa Sikh non tagliandosi nessun pelo del corpo, barba e capelli compresi, per questo la nostra religione è alla base di tutte le altre» spiega Balraj. Al polso portano il kara , il braccialetto di ferro che è un altro simbolo religioso: «Insegna che con le nostre mani non dobbiamo rubare, né fumare, né bere alcol, e che siamo legati per tutta la vita a una sola donna, che merita lo stesso rispetto dell' uomo».
Gli uomini del tempio di Rodigo stanno bevendo il tè dopo il lavoro, l' unica donna adulta presente entra ed esce da una cucina, poi li raggiunge e ascolta a braccia conserte.
Non parla italiano. Prima di cena ci sarà un' altra preghiera, poi ancora un' ultima prima di andare a dormire. «Per il culto collettivo ci ritroviamo qui la domenica». Dopo i servizi religiosi, che vengono officiati anche dalle donne e sono introdotti da musica e canti, c' è il pranzo tutti insieme. «Siamo vegetariani, quasi vegani - aggiunge Balraj -. Non mangiamo né carne, né pesce, né uova. Il pasto è in condivisione». Anche con chi non crede.
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