Estratto dell’articolo di Nando Pagnoncelli per corriere.it
Il funzionamento della giustizia si conferma tema sensibile e centrale nel dibattito politico. Lo è stato da tempo, d’altronde, e ha segnato l’ultimo trentennio. La scomparsa di Silvio Berlusconi faceva ipotizzare che ci sarebbe stato un raffreddamento del tema, che ha accompagnato tutta la carriera politica del Cavaliere.
Al contrario, in queste ultime settimane, assistiamo a un re-infiammarsi della questione. Dalla separazione delle carriere alle intercettazioni, dal concorso esterno in associazione mafiosa alla revisione della prescrizione, il dibattito politico si è spesso arroventato.
Proprio negli ultimi giorni, il presidente Mattarella ha apposto la propria firma al ddl Nordio autorizzandone l’invio alle Camere (qui: cosa prevede la riforma).
Abbiamo quindi interpellato gli italiani su questi aspetti. In primo luogo, abbiamo testato le quattro principali modifiche previste dalla riforma verificando se i nostri intervistati le ritenessero positive o meno.
Rispetto all’eliminazione del reato di abuso di ufficio (che ha visto tra l’altro un ampio consenso tra i sindaci del centrosinistra), prevale l’idea che sia un errore. Lo sostiene il 47% degli intervistati, con punte elevatissime tra gli elettori di Partito democratico e Movimento 5 Stelle, mentre il consenso espresso dagli elettori di centrodestra non è corale: arriva al 51% tra gli elettori di Lega e Forza Italia, rimane al 48% tra gli elettori di Fratelli d’Italia.
I numeri del sondaggio: ok alla stretta sulle intercettazioni
Anche sulle limitazioni delle imputazioni per il traffico di influenze e sul divieto di ricorso da parte dei pm dopo l’assoluzione di primo grado prevale, sia pur di misura, l’opinione negativa. Con la classica divisione tra le aree elettorali (centrodestra più d’accordo, centrosinistra critico) ma con apprezzabili perplessità in entrambi gli schieramenti. Solo sulla stretta alla pubblicazione delle intercettazioni prevale, di strettissima misura, l’idea che sia una scelta giusta.
E nel suo insieme la riforma proposta vede il prevalere delle perplessità: il 40% infatti ritiene che alla fine le misure proposte rischino di peggiorare la condizione della giustizia in Italia, mentre il 27% pensa che al contrario migliorerà almeno in parte le cose. Se guardiamo agli orientamenti politici, gli elettori di centrodestra la approvano, ma con meno convinzione di quanto la respingano gli elettori di Pd e M5S. Più di un quarto degli elettori di centrodestra non esprime un’opinione, percentuale che scende rispettivamente all’11% e al 17% tra gli elettori di Pd e M5S.
CARLO NORDIO GIORGIA MELONI - FOTOMONTAGGIO IL FATTO QUOTIDIANO
Ma questa difficoltà a esprimersi è davvero diffusa e riguarda tra un quarto e un terzo degli intervistati a seconda del tema proposto (33% per la valutazione complessiva della riforma). Si tratta di un tema ostico e difficile. È un dato che si massimizza tra i meno politicizzati, incerti o astensionisti, dove oltre il 50% non sa dare un giudizio generale sulla riforma. E vale la pena di sottolineare che, tra questi ultimi elettori, chi si esprime evidenzia una posizione negativa sulla riforma in generale e nei suoi singoli aspetti. È un elemento che può indurre ad ulteriori cautele proprio nel centrodestra, nell’ipotesi di produrre resistenze tra elettori potenziali.
Abbiamo poi parlato della politicizzazione della magistratura. Nell’ambito della maggioranza si è infatti ipotizzato che, di fronte a diverse vicende (dal caso di Delmastro a quello di Santanchè, sino a La Russa), vi fosse un accanimento politico dei magistrati, posizione poi rientrata. Gli italiani fanno fatica a valutare questo aspetto: 43% non sa esprimersi, 29% ritiene che i magistrati stiano esercitando un ruolo politico di opposizione al governo, 28% è in disaccordo.
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