Paolo Berizzi per la Repubblica
Le audizioni di venerdì a Palazzo Chigi sono andate «benissimo ». Il giorno dopo, dai corridoi blindati della procura di Bergamo, filtra un cauto ottimismo che è inutile interpretare. Così come ha poco senso immagina re dei sottopancia alle parole di ieri della pm Maria Cristina Rota sulla possibilità di stabilire «se c' è reato» o meno nella decisione del governo di non istituire la zona rossa in Val Seriana: «La questione è complessa e sarà approfondita all' esito della ricostruzione del fatto », ha detto.
L' ammissione piena e argomentata della «responsabilità politica» che il premier Conte ha consegnato venerdì ai magistrati bergamaschi è considerata come un «dato acquisito» importante (lo stesso ragionamento è stato fatto per i confronti con i ministri Lamorgese e Speranza). Che permette ora agli inquirenti di tornare a lavorare in "ambito regionale". L' asse dell' inchiesta si sposta di nuovo sull' operato del presidente Fontana e dell' assessore Gallera (già interrogati a Bergamo così come il presidente di Confindustria Lombardia, Marco Bonometti).
E sulla catena dirigenziale amministrativa e sanitaria lombarda protagonista dei giorni più caldi dell' epidemia. Nei prossimi giorni potrebbe toccare ad altri testimoni rispondere alle domande della pm Rota. Direttori sanitari, direttori generali, forse qualche medico.
E questo per quanto riguarda in particolare gli altri due filoni dell' indagine avviata per epidemia colposa: il caos nelle Rsa e la vicenda dell' ospedale di Alzano Lombardo. Da ambienti investigativi filtra che, qualora emergesse l' impossibilità di accertare il "nesso causale" sulla questione della mancata zona rossa - scelta "politica" rivendicata da Conte e argomentata con dovizia di particolari -,
se è vero che resterebbe comunque in piedi l' accertamento di eventuali pressioni sul governo da parte del mondo imprenditoriale, potrebbero però diventare questi i due filoni decisivi: Rsa e ospedale di Alzano. Qui si aprirebbe il fronte di un' eventuale e possibile "corresponsabilità" da parte della Regione. Ma torniamo ora al tema zona rossa. Imprese e sindacati (ma non i rappresentanti locali).
Cooperative e agricoltori. Che cosa accomunava le associazioni e le sigle di categoria alla fine di febbraio, quando la situazione epidemiologica in Val Seriana aveva già toccato livelli allarmanti e la scienza stava già suggerendo alla politica di cinturare l' area? Erano contrari alla chiusura delle fabbriche. Segnatamente - i magistrati hanno raccolto elementi in questo senso - anche e soprattutto nel perimetro più infetto della Bergamasca (e poi d' Italia e d' Europa).
Lo indica un documento acquisito dalla Procura di Bergamo. Un documento da "fonte aperta". Ma che gli inquirenti considerano uno spunto non banale. È il "comunicato congiunto di imprese e sindacati sul coronavirus" pubblicato il 27 febbraio sul sito di Confindustria.
GIULIO GALLERA ATTILIO FONTANA BY CARLI
Un appello sottoscritto da: Abi, Coldiretti, Confagricoltura, Confapi, Confindustria, Alleanza delle cooperative, Rete Imprese Italia, Cgil, Cisl, Uil. Che cosa chiedevano? "Dopo i primi giorni di emergenza - si legge - , è ora importante valutare con equilibrio la situazione per procedere a una rapida normalizzazione, consentendo di riavviare tutte le attività ora bloccate", "evitando di diffondere sui mezzi di informazione una immagine e una percezione, soprattutto nei confronti dei partner internazionali, che rischia di danneggiare durevolmente il nostro made in Italy e il turismo". Il 27 febbraio, dunque.
Siamo alla vigilia dell' infelice spot di Confindustria Bergamo con l' hashtag #Bergamoisrunning (per il quale il presidente Stefano Scaglia ha fatto ammenda). Ma siamo, soprattutto, in una finestra temporale dove Covid 19 a queste latitudini viaggiava a ritmo notevole: ne è prova il fatto che il 29 febbraio il Comitato tecnico scientifico lancia l' allarme su Alzano e Nembro facendo mettere a verbale quanto segue: "L' RO (il tasso di contagiosità, ndr) è superiore a 1, il che costituisce un indicatore di alto rischio di ulteriore diffusione del contagio". E tuttavia: le imprese qui sono rimaste attive. Fino al 16 marzo certamente.
Molte fino al 23 (data del lockdown economico deciso dal governo). La resistenza di imprese e sindacati alla chiusura e, per sillogismo, alla zona rossa in Val Seriana, finisce dritta in Procura. Anche attraverso le oltre 200 denunce del comitato di parenti delle vittime Covid "Noi denunceremo". «In diversi esposti il comunicato imprese-sindacati è citato», dice l' avvocato Consuelo Locati, legale del comitato.