1. NESSUN INUTILE RIMPIANTO
Vittorio Macioce per il Giornale
Eduard Limonov probabilmente non esiste. Non come tutti gli altri umani, perlomeno.
Non lo afferri, perché lui cambia, evapora, riappare, scappa e ritorna. È un mutaforma. È Eduard Veniaminovich Savenko, il figlio del commissario del popolo, del cekista con doppia vita, doppia famiglia, e notti insonni per i sensi di colpa. È il teppistello di Dzerzhinsk, la città industriale sul fiume Oka, non troppo lontano da Gorky.
È il bohémien newyorkese che si atteggia a punk e per sopravvivere si fa sodomizzare da un nero. È il leader del partito nazional bolscevico e il fondatore del giornale Limonka, come una bomba a mano, a forma di limone. Naturalmente è anche il personaggio del romanzo di Emmanuel Carrère. Limonov lo puoi solo inseguire, come adesso, che sta a Roma e si racconta con in mano il suo nuovo libro: Zona industriale (Sandro Teti editore). È l' ultima immagine, per ora, che vuole dare di sé.
Ora scopriamo che ha un fratello.
«A quanto pare sì. È stata una sorpresa anche per me. Ha bussato una notte nella mia casa di Syry, il quartiere dove cartografo la metamorfosi della Russia e mi ha detto: sono il figlio di tuo padre».
Avete passato una notte a specchiarvi nello stesso padre. Poi non vi siete più visti, perché?
«Perché siamo russi. Voi italiani siete diversi, la famiglia, il sangue. Noi brindiamo al nostro destino».
Ha mai più incontrato Carrère?
«Certo. Tre volte, almeno».
Avete parlato del romanzo?
«No, anche perché io ho letto solo le prime 45 pagine. È una sua opera. Non deve piacermi. Carrère mi ha visto così, io non mi vedo come mi descrive, ma non è importante perché lui per me ha fatto una gran cosa. Mi ha presentato al pubblico di massa. Il suo romanzo è stato tradotto in 35 lingue. Ha avuto un successo strepitoso e impensato per lo stesso Carrère e, dunque, per me».
Chi è Limonov?
«Dipende da come mi sveglio la mattina».
Personaggio o autore?
«Io sono una persona in perenne mutamento e non credo sia possibile afferrarmi o rinchiudermi in qualche formula facile. Scrittore, personaggio, politico sono solo etichette che servono a rassicurare gli altri. A me piace evolvermi, ogni giorno, fino alla fine».
Ha rimpianti?
«No. Sono inutili».
Cosa le pesa di più della vecchiaia?
«Che qualcuno mi dica vecchio. Lo sono?».
Solo per l' anagrafe e la burocrazia.
«Appunto, quindi chi se ne frega. Sto bene, benissimo, sto da Dio. Mi sento al massimo della mia potenza».
Come il Faust di Goethe. Si vede simile a lui?
«A dir la verità, è da poco che ho compreso la sua grandezza, e proprio alla mia età, sono finalmente riuscito a comprendere davvero il dilemma di Faust. Quando, da giovanissimo, lo lessi per la prima volta, rimasi piuttosto deluso per il modo antiquato con cui si svolgeva la trama. Oggi, rileggendolo, il Faust mi appare la parabola di un uomo che vorrebbe allungare la propria vita all' infinito riempiendola di un senso superiore».
Lei si sente più russo o europeo?
«Io sono russo, ma vi ricordo che in Europa ci sono 118 milioni di russi. Di quale Europa poi stiamo parlando? L' Europa è tante cose. È la Ue. È l' euro. È l' Europa di Goethe e l' Europa che finisce agli Urali. È l' Europa con la Russia al centro».
Zona industriale è il ritratto delle sue ragazze. Cosa le hanno lasciato?
«Due figli».
2. Brano tratto dall’autobiografia Zona Industriale di Eduard Limonov (Sandro Teti editore), pubblicato da il Giornale
Che ci crediate o meno, Krys aveva lo stesso odore del bucato appena tirato fuori dalla lavatrice e non strizzato a sufficienza. Come era possibile che sapesse di detersivo in polvere? Un topo dovrebbe puzzare di cantina o, nella migliore delle ipotesi, avere l' odore del suo habitat, la gabbia. Alla fine trovai una spiegazione plausibile: a Krys piaceva il sapone, e ogni volta che io mi distraevo, all' improvviso, il detersivo non si trovava più. Sapeva di sapone perché se lo mangiava!
Non lo trascinava nella gabbia come avrebbe fatto uno stupido topo qualsiasi, lo nascondeva nell' appartamento, spesso sotto la rigida branda che si trovava nel mio studio. Più volte, l' avevo visto uscire rapido da lì sotto, ma non avevo sospettato nulla perché aveva sempre un' aria innocente.
Quello che sembrava un sorriso indolente e cinico sembrava dirmi: «Sono un animale, me ne vado in giro per casa e ne ho tutto il diritto, perciò lasciami in pace!».
Più avanti, trovai sotto il letto brandelli di sapone con incisi sopra i delicati solchi dei suoi denti.
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Krys non era quel tipo di topo che divora con avidità il sapone, mi sembrava che lo gustasse soavemente, proprio come i sommelier che si riempiono la bocca affinché il vino raggiunga tutti i ricettori del gusto. Ah! Ah! avrà pensato Krys tra sé assaporando il gusto della vita. (...) Inizialmente il pelo di Krys era bianco, ma con il tempo gradualmente ingiallì.
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La mia amica-topo, ahimé, invecchiò molto rapidamente. Quando arrivò a casa mia, aveva poco più di due anni, e purtroppo i topi ne vivono al massimo tre o quattro, non di più. Veniva da una famiglia di cavie da laboratorio, ecco perché aveva il pelo bianco, e gli occhi di un rosso acceso, come d' altronde tutti i topi albini. Al buio e quando li colpiva il flash di una macchina fotografica sembravano ardere di un fuoco diabolico. Caratterialmente, Krys era invece un angelo con la coda. La coda, che molti ritengono ripugnante, in realtà non è altro che un normale e utile organo del corpo di un topo, come lo sono per gli uomini mani e piedi. Una volta, dopo essersi voltata verso di me con sguardo malandrino, si era prodotta in un volo acrobatico: stava curiosando sul tavolo della cucina, aveva fatto rotolare un uovo sotto il muso e, dopo averlo afferrato con le zampe anteriori, in un baleno si era capovolta sulla schiena.
Dopo essersi agitata a lungo sul bordo del tavolo, all' improvviso cadde sul pavimento. Proprio la coda attenuò il volo, l' uovo non si ruppe (!) e lei, trionfante, lo trascinò fino all' ingresso della gabbia. Proprio così! E, orgogliosa della sua prodezza, si girò verso di me, e io la applaudii.
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Quando correvamo verso la stanza più grande dell' appartamento, io davanti e lei dietro, teneva la coda parallela al pavimento, sollevata di quanto le permettesse la sua minuta statura. Era buffa. Mi imitava. Faceva le curve che facevo io. Quel comportamento mi fece tornare in mente i compagni di cella del terzo braccio del carcere di Saratov. Durante l' ora d' aria, in quegli ampi cortili che rimarranno così anche per le future generazioni di carcerati, appena arrivato, facevo jogging lungo il perimetro delle mura. Col tempo, si unirono a me i giovani compagni della mia cella e a volte, miracolosamente, persino Igor', il detenuto responsabile di quel braccio di carcere. Guardando indietro, li rivedevo ansimare, e le loro vecchie ciabatte ricalcare con affanno i miei passi. (...
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Krys è morta un anno dopo mio padre, e tre anni prima di mia madre. (...) Morì di notte. E io non mi accorsi di nulla. Al mattino, trovai il suo corpo allungato, già freddo, in un angolo della gabbia. Era il 10 marzo 2005. Quel giorno non trovai il tempo per seppellirla poiché avevo un appuntamento di lavoro. Rientrato a casa, presi una scatola argentata, ci misi dell' ovatta, deposi all' interno la mia amica Krys mettendole l' ovatta sotto la testa, come se fosse un cuscino, poi tagliai una vecchia ghirlanda che usavo per addobbare l' albero di Natale e gliela misi intorno ai fianchi. Finalmente chiusi la scatola. Avrei voluto riporla nel frigorifero, ma poi pensai che avrei offeso la sua dignità.
Fuori il freddo era pungente, eravamo a 15 sotto zero, perciò aprii la decrepita finestra della cucina e appoggiai la scatola sul davanzale. Rimase lì per due giorni poiché io e le mie guardie del corpo eravamo presi da impegni del partito che non potevamo rimandare. La mattina del terzo giorno chiesi alle mie guardie di aiutarmi a seppellire Krys. Avevo pensato alla riva opposta della Jauza, una zona abbandonata. «Non possiamo certo gettare una creatura con cui ho vissuto così intensamente per quasi due anni in un cassonetto dell' immondizia!» dissi. Diedi loro un' accetta, una pala e - non so perché - anche un cacciavite...
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