Simona Bertuzzi per “Libero quotidiano”
Camici bianchi. così puliti da sembrare immacolati, lo stetoscopio infilato nel taschino e lo sguardo severo sulla cartella clinica, parlavano e pareva l' oracolo. Non era la preistoria eppure sembra un secolo fa. Oggi i medici li amiamo in televisione quando vestono i panni rassicuranti della dottoressa Giò o hanno lo sguardo ammiccante di Patrick Dempsey in Grey' s Anatomy.
Ma se li incontriamo lungo le corsie asettiche di un ospedale, e negli ambulatori delle cliniche specialistiche, li trattiamo da bersagli mobili. O dispensano la ricetta di ogni male (e ci salvano la vita) o facciamo loro causa e chiediamo risarcimenti milionari.
Sono trecentomila le cause giacenti nei tribunali contro i dottori e le strutture sanitarie private e pubbliche, 35mila quelle intentate ogni anno.
E si stima (dato del 2015 del Tribunale del malato) che siano state presentate 10,67 richieste di risarcimento ogni 10mila dimissioni. Solo a Milano nell' ottobre del 2018 la pm Tiziana Siciliano, la stessa che chiese l'assoluzione per Marco Cappato nel processo su dj Fabo e che coordina il pool ambiente, salute e lavoro della procura - con una buona dose di realismo e una certa preoccupazione - disse che a palazzo di giustizia arrivavano 300 esposti l' anno da parte di pazienti che denunciavano i medici per lesioni o omicidi colposi. Una «patologia» del sistema giudiziario, ebbe a definirla.
E l'impressione unanime è che davvero si tratti di un attacco conclamato alla categoria. Con casi acclarati e giusti come quello della giovane paziente di Ponsacco (Pisa), morta perché un medico non aveva capito che il suo neo sulla schiena non era un inestetismo di poco conto ma un brutto melanoma che divorava lei e i suoi 20 anni (la ragazza morì di quel male, il medico fu condannato e la famiglia risarcita con 1 milione).
Ma anche esposti di parenti che non accettano la morte del nonno centenario o che aspettano fuori dall' ospedale il malcapitato di turno perché la sua diagnosi sarebbe stata tardiva, «io la porto in tribunale». Per non dire delle famiglie in condizioni di indigenza economica, ultimo caso accertato: non sapendo a che santo votarsi per tirare fine mese intravedono nel ricovero di un parente, o peggio nella sua dipartita, l'occasione per tentare una causa e racimolare qualche soldo.
IDEA RADICATA
Il problema è che la convinzione che esista non soltanto un diritto alla salute ma un "diritto alla guarigione" è talmente radicata che gli stessi medici hanno cominciato a vacillare. Fateci caso. Ti rivolgi allo specialista per una tosse secca e lui ti ribalta come un calzino. Nell'ordine: radiografia ai polmoni, tac, esame delle allergie. Il tutto per accertare che magari la tossetta è solo un attacco influenzale.
Si chiama "medicina difensiva" questa abitudine consolidata di prescrivere un fiume di esami al primo accenno di male e costa alla sanità qualcosa come 13 miliardi l' anno. Un po' di ordine - sia a tutela dei pazienti che dei medici - ha provato a farlo la legge sulla responsabilità in medicina del dottore e professore alla Luiss, nonché presidente della Fondazione Italia in Salute Federico Gelli, ex deputato Pd.
La sua legge (1 aprile 2017) prevede, oltre all' organizzazione in ogni struttura sanitaria pubblica e privata di un dipartimento che gestisca il rischio di errore in sanità, l' obbligo di copertura assicurativa per ciascun ospedale e la possibilità di ottenere risarcimento senza andare in tribunale ma piuttosto rivalendosi sulla compagnia assicurativa o attuando il criterio della conciliazione obbligatoria. Non ha risolto il problema, forse, «ma lo ha ridotto di qualche punto», spiega Gelli. D' altronde prendersela coi medici è diventata una moda: nei giorni scorsi, pensate, è andato in onda persino uno spot che pubblicizzava, patrocini gratuiti contro la categoria.
Sia chiaro, il fascino della professione resta forte nonostante i tentativi di delegittimarla. Solo l' anno scorso erano 67mila gli iscritti alla facoltà di medicina, diecimila quelli ammessi ai test. E la loro professionalità è indiscussa sebbene siano pagati poco, 2200/2500 euro un ospedaliero neoassunto. Il paradosso è che se in Italia i camici bianchi sono mal retribuiti e sottostimati, se in Italia diventano capri espiatori di ogni guaio capiti in corsia, all' estero sono richiestissimi.
L'ultima notizia in tal senso arriva dal Veneto dove mancano all' appello 1295 professionisti. In un convegno a Padova è emersa la tendenza da parte dei funzionari dei paesi europei soprattutto dell' Est ma anche di Germania, Francia, Olanda a venire negli ospedali italiani in incognito per studiare le nostre eccellenze in medicina, e magari prendere contatto con gli specialisti e offrir loro un posto oltreconfine.
007 DELLA SANITÀ
Pare di vederli questi 007 della sanità sfilare nei corridoi bianchi e lindi, origliare competenze, indagare profili, e poi lanciare la proposta: stipendi più alti (in Francia un neoassunto è pagato 5.500 euro), opportunità di carriera e condizioni migliori. «Non abbiamo una casistica» - spiega Giustina De Silvestro, consigliera dell' ordine dei medici di Padova - «ma il rischio che qualche professionalità venga contattata per migrare all' estero esiste. Soprattutto alla luce delle condizioni di lavoro duro che ci sono in Italia e dei riconoscimenti economici bassi».
L'attacco alla categoria poi funge da sprone. «Il problema è che l' assicurazione pubblica spesso non garantisce da eventuali risarcimenti e il medico si rivolge ad assicurazioni private che però sono costose» e si tirano indietro di fronte a specializzazioni a rischio, come ostetricia e ginecologia o chirurgia.
A proposito di giustizia. In questi giorni è partita una petizione (promossa da Consulcesi, network legale) che ha già raccolto 10mila firme e chiede di fermare la campagna contro i medici istituendo un tribunale della Salute. «Bisogna tornare a un rapporto sano tra i cittadini e la sanità, il clima di sfiducia non fa bene a nessuno» spiega il 5stelle Piepaolo Sileri, che ha sottoscritto l' appello e presiede la commissione sanità del senato.
Servirà da argine? Per dovere di cronaca: vanno dagli 8 ai 10 anni i tempi della giustizia in un caso di risarcimento danni. Ma siamo in Italia e ci piace esagerare. Come è accaduto a una povera signora di Milano oggi 78enne. Nel 1962 si sottopose a un intervento di routine. I medici le lasciarono la punta di un ago nell' addome. 40 anni di dolori, un calvario. E il risarcimento è arrivato dopo 56 anni.