Giuseppe Scarpa per "Il Messaggero"
Il primo capitolo dell'inchiesta sul sacco della Rai, l'indagine che ha portato alla scoperta dei furti di centinaia di opere artistiche dalle sedi della tv pubblica, si conclude con un nulla di fatto.
Il ladro reo confesso, che ha rubato nel 1973 un quadro di Ottone Rosai, l'ha fatta franca. Il dipendente furbastro che ha trafugato da Viale Mazzini un prezioso dipinto non subirà alcun processo.
La procura di Roma ha chiesto l'archiviazione del caso. Il furto si è prescritto e i pm, perciò, non possono procedere. Purtroppo questo sembra essere il destino, almeno al penale, che accompagnerà la maggior parte degli altri saccheggi.
Si tratta di colpi datati nel tempo. E sebbene la mancanza di queste opere, nelle principali sedi della televisione di Stato, sia stata scoperta da poco, grazie all'ormai ex direttore beni artistici Nicola Sinisi (poi licenziato in tronco dai vertici della Rai) questo rende il lavoro degli inquirenti quasi inutile.
In dieci anni si prescrive il furto aggravato, in 8 la ricettazione e dal momento che il sacco della Rai va dagli anni Settanta alla prima decade del 2000 il lavoro dei pm diventa pressoché nullo.
Non quello degli investigatori però. Va dato atto che i carabinieri tutela patrimonio culturale continuano a lavorare senza sosta. Inoltre la scoperta dei dipinti che mancano in Rai comporta, una volta individuati, pur sempre il sequestro. È il caso, appunto, dell'ormai famoso quadro del pittore Rosai.
LA VICENDA
È il sacco della Rai. Quadri originali sostituiti con false riproduzioni e poi venduti. Semplicemente rubati. O nella migliore delle ipotesi, persi. Sono un centinaio le opere d'arte di cui non si ha più traccia tra dipinti e sculture di inestimabile valore.
Il danno è milionario. Il sospetto che molte di loro siano state trafugate da dipendenti infedeli è molto più di un'ipotesi. Un centinaio di opere su un patrimonio che ne conta 1.500 tra tele, arazzi e sculture. È quasi un decimo insomma.
Un saccheggio che riguarda tutte le sedi della televisione pubblica, da Nord a Sud. Un'indagine partita dopo una denuncia dei vertici della Rai che hanno deciso di fare luce sui mancati ritrovamenti.
Tutto nasce dal quadro Architettura di Rosai. L'intera vicenda, di cui Il Messaggero ha dato notizia lo scorso 4 maggio, sarebbe nata per caso. La scoperta di un'opera che si pensava essere originale e invece originale non era.
Il rinvenimento della patacca nei corridoi della sede di viale Mazzini sarebbe avvenuto l'anno scorso, accidentalmente dopo che l'opera cadendo avrebbe rivelato la sua vera natura: nient'altro che una copia.
Un pezzo di notevole valore economico che qualcuno aveva rubato e sostituito con una replica e poi venduto a 25 milioni di lire negli anni Settanta. Quel qualcuno che nella televisione pubblica, si è scoperto dopo una delicata indagine, aveva lavorato per decenni.
Un Lupin che candidamente aveva ammesso, di fronte agli inquirenti, di essere stato il protagonista della ruberia. Un ladro che l'ha fatta franca. La procura ha chiesto l'archiviazione. I reati contestati, furto e ricettazione, sono tutti prescritti, visto che il colpo sarebbe stato messo a segno 40 anni fa.
I FURTI
Ora l'interrogativo è se l'uomo sia stato emulato da altri colleghi. Di sicuro in Rai manca un controllo su questi beni. Per fare solo alcuni esempi, non si ritrovano più quattro miniature, alcune in bronzo e altre in argento, del Cavallo dello scultore Francesco Messina.
Si tratta della versione, in scala ridotta, del celebre cavallo di Viale Mazzini sempre dello stesso autore. O ancora la tela di Giovani Stradone Il Colosseo, di cui non c'è più traccia dalla sede in Prati a Roma a partire dal 2008.
L'ultima volta che sono stati ammirati in Viale Mazzini Vita nei Campi di Giorgio De Chirico e La Domenica della Buona Gente di Renato Guttuso correva l'anno 2004. Stessa sorte per il Porto di Genova di Francesco Menzio assente dalla sede torinese di via Verdi dal 2010. Anche Composizione di Carol Rama, Kovancina di Felice Casorati, Dieci anni di televisione in Italia di Vincenzo Ciardo, Castello d'Issogne di Gigi Chessa, Giuditta di Carlo Levi, Parete Rossa di Sante Monachesi, Piazza di Luigi Spazzapan, Tristano e Isotta di Massimo Campigli, Tela Bianca di Angelo Savelli, Apologia del Circo di Giuseppe Santomaso, Orfeo di Gianni Vagnetti, Serata d'Epifania di Achille Funi e Numeri di Ugo Nespolo, mancano all'appello.
C'è poi il capitolo relativo alle stampe di Modigliani, Sisley, Corot, Monet e Piranesi (in questo caso è una riproduzione). Di questi artisti sono scomparse nell'ordine Petit Fils, Hampton Court, La Route de Sevre, Paysage de Verneuil e Fontana Acqua Paola.
Sono tutti lavori di pittori e scultori contemporanei che hanno un valore di mercato rilevante. In costante ascesa. Buona parte dei dipinti scomparsi nel nulla, secondo la ricostruzione investigativa, è assente dalle sedi Rai almeno a partire dal 1996.
Questo fu l'anno in cui la televisione pubblica organizzò una mostra a Lecce: Opere del Novecento Italiano nella collezione della Radiotelevisione italiana. Ebbene gran parte di quelle tele oggi introvabili all'epoca erano esposte. I ladri, se scoperti, la farebbero franca. Le opere però verrebbero sequestrate.