Lorenzo Simoncelli per “la Stampa”
Vincere il concorso di bellezza nazionale, sognare di poter studiare e finire stuprata dal presidente del Paese in cui vivi. La protagonista è Fatou Jallow, 18enne del Gambia, piccolo Stato dell' Africa occidentale, caduta, insieme ad altre ragazze, nel protocollo perverso di Yahya Jammeh, l' ex dittatore che, per 22 anni (1994 - 2016), ha seminato il terrore nella piccola nazione africana.
La sera del 22 luglio 2014, Fatou, una ragazza di umili origini, viene incoronata Miss Gambia dal presidente in persona. «Non avere fretta di sposarti ed usa la borsa di studio per realizzare i tuoi sogni», le disse Yahya Jammeh al termine della premiazione. Passano poche settimane e Fatou viene raggiunta dai suoi emissari nel piccolo villaggio dove vive con la famiglia.
Con la scusa di voler discutere del finanziamento della Borsa di studio viene inviata al palazzo presidenziale nella capitale Banjul. Jammeh le offre un lavoro da segretaria, promette di costruire un pozzo per l' acqua potabile nel suo villaggio e di fornire cure mediche agli anziani della sua famiglia. In cambio, la vuole sposare.
Una proposta inattesa per Fatou, che rifiuta, spiegando che prima deve studiare.
«Pensavo scherzasse - racconta la giovane gambiana in un' intervista al New York Times - non sapevo nulla di lui, della sua brutalità, non avevo Internet e neanche il cellulare». Poche settimane dopo, con la scusa di celebrare una festa per l' inizio del Ramadan insieme alle altre ragazze che avevano vinto il concorso di bellezza nazionale negli anni passati, Fatou viene portata nuovamente alla residenza di Jammeh.
«Sono entrata in una sala secondaria dove il presidente mi stava aspettando - ricorda la ragazza, la prima a denunciare pubblicamente le violenze commesse dall' ex presidente del Gambia - mi ha insultato dicendomi che nessuna donna si era mai permessa di rifiutare una sua proposta, poi si è avvicinato, ha iniziato a spogliarmi e mi ha iniettato un liquido con una siringa».
Stordita dal trauma e dai sonniferi, Fatou ricorda che, mentre il presidente Jammeh abusava del suo corpo, dalle stanze accanto provenivano canti femminili inneggianti al Profeta Maometto. Ore dopo la violenza, il carnefice era ancora lì a sfidare il suo sguardo innocente, prima di rispedirla brutalmente a casa. Fatou decide di non raccontare nulla alla famiglia e di scappare in Senegal.
Grazie a un familiare che viveva in Inghilterra entra in contatto con l' Agenzia dei rifugiati delle Nazioni Unite e riesce a ottenere un visto per il Canada, dove inizia una nuova vita. Sono passati 5 anni da quella notte, Jammeh è stato destituito e il Gambia sta provando a curare le ferite di una dittatura ventennale, che ha lasciato profondi strascichi nella società. Il nuovo Presidente, Adama Barrow, ha stabilito una Commissione per la Verità e la Riconciliazione in cui si raccolgono le accuse di oppositori, attivisti e donne come Fatou.
Decine di ragazze sarebbero state stuprate durante la dittatura di Jammeh, in uno schema consolidato e supervisionato dal cugino Jimbee.
«Ho rifiutato le sue avance sessuali fino a quando mi ha minacciata dicendo che avrebbe lasciato sul lastrico la mia famiglia - ha raccontato Anta, pseudonimo di una ragazza di 23 anni, ai legali di Human Rights Watch - da allora sono diventata una sua schiava, ogni volta che mi chiamava ero costretta a soddisfarlo».
Bintu, anche lei una giovane che preferisce rimanere anonima per paura di ritorsioni contro la sua famiglia, ha raccontato di esser stata umiliata dall' ex Presidente e di aver abbandonato la scuola per la resistenza alle molestie dell' allora Capo di Stato.
L' obiettivo di Trial International, una Ong che si batte per far ottenere giustizia a vittime indifese, è processare Jammeh che, al momento, si trova in esilio dorato in Guinea Equatoriale, altro Stato dell' Africa occidentale che non brilla per rispetto dei diritti umani. «L' ex Presidente ha fatto di tutto per mettermi a tacere - spiega Fatou, che sarà chiamata a testimoniare nei prossimi mesi - ma non riuscirà a fermarmi, voglio che senta forte e chiaro il mio racconto. Non ho paura perché il silenzio è più pericoloso delle parole e spero che serva come stimolo anche per le altre ragazze che hanno subito violenze».
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