Maurizio Giannattasio per il “Corriere della Sera”
Un piano B. Con più finali come per la Turandot. A tre giorni dal Cda che dovrà decidere sull' ingresso dei sauditi nel board della Scala, la diplomazia è al lavoro per trovare una via d' uscita alle polemiche e alle divisioni che hanno infiammato il tempio della Lirica. Un lavoro sotterraneo che a oggi ha portato a due opzioni. O dare il via alla collaborazione «culturale» con l' Arabia Saudita rimandando al nuovo Cda che verrà nominato nel 2020 la decisione dell' ingresso di un saudita nel board.
O bocciare senza se e senza ma la proposta, lasciando però aperta la porta alla collaborazione con delle forme diverse. In entrambi i casi e nonostante le variazioni musicali, il leitmotiv, ossia la questione dei finanziamenti da parte dei sauditi (per adesso si parla di 15 milioni in cinque anni), non sparirebbe dal tavolo. Nel primo caso, essendo l' ingresso nel Cda subordinato al versamento dei 15 milioni, toccherebbe ai nuovi consiglieri gestire la patata bollente.
Nel secondo caso, la controproposta sarebbe quella di prendere in seria considerazione l' accordo stretto tra il Louvre e Abu Dhabi, dove per la sola cessione del marchio e il prestito delle opere l' accordo tra i due Stati prevede un miliardo di euro in trent' anni. Ma senza nessun ingresso nel Cda e senza intrusioni nella governance. Se il Louvre è l' eccellenza francese - è il fondamento del ragionamento - la Scala è l' eccellenza del nostro Paese. Di fatto, però, nessuno rinuncerebbe a cuor leggero ai milioni dei sauditi. L' oro del Reno, come ben sapeva Wagner, ha un fascino irresistibile.
È evidente che la prima soluzione, quella del rinvio, sarebbe più gradita al sovrintendente Alexander Pereira che ha portato avanti la trattativa non prima di aver dichiarato che il primo a parlargli dell' interessamento dei sauditi è stato il leghista Max Ferrari, consigliere del governatore Attilio Fontana che però ha seccamente smentito di aver fatto da apripista ai sauditi. Anzi, ha spiegato di non saperne niente. Tanto che i leghisti hanno presentato un' interrogazione in cui chiedono la testa di Pereira. La seconda opzione è invece più vicina alle dichiarazioni rilasciate in questi giorni dal ministro della Cultura, Alberto Bonisoli e dal vicepremier Matteo Salvini («Dei sauditi possiamo farne a meno. Preferirei gli svizzeri»). In mezzo c' è Beppe Sala che oltre a essere sindaco di Milano è presidente della Fondazione Scala.
Sala in più di un' occasione ha chiesto di mettere la sordina alle polemiche per rispetto dell' autonomia del Consiglio di amministrazione. Senza tanta fortuna. Anche lui si è tolto qualche sassolino dalle scarpe ritenendo inverosimile che Fontana non fosse stato avvisato della trattativa in corso dal suo rappresentante in Cda, il critico d' arte Philippe Daverio. «O non ti ha informato e lo licenzi o fai il furbo».
Ha però aggiunto un dettaglio di non poco conto. Anche se lo statuto del Cda della Scala non lo specifica, il sindaco ritiene che per decidere sull' ingresso dei sauditi nel Cda del teatro, il voto debba essere unanime. «A mio avviso serve l' unanimità da parte del Cda.
daniela de souza e alexander pereira
Tendenzialmente tutte le decisioni rilevanti e critiche del Cda della Scala vengono prese all' unanimità». Sicuramente tra i consiglieri che si incontreranno lunedì c' è tutto tranne unanimità.
REALI SAUDITI daniela weisser alexander pereira maria elisabetta alberti casellati con alexander pereira STEFANO BOLOGNINI - MATTEO SALVINI - ALEXANDER PEREIRA