Valeria Di Corrado per Il Tempo
A due mesi dall’inizio del maxi processo «Mafia Capitale», dopo il clamore suscitato dal funerale in stile «Padrino» di Vittorio Casamonica e lo scioglimento del municipio di Ostia, l’ex boss Maurizio Abbatino è uscito dal programma di protezione dei pentiti. Lo Stato ha deciso che, considerato il tempo trascorso dalla conclusione dei processi in cui ha testimoniato, la vita di uno degli ultimi capi storici della Banda della Magliana non è più in pericolo.
All’età di 61 anni, «Crispino» (attualmente agli arresti domiciliari in una località protetta) è alla mercé di chi aspettava da tempo il momento per vendicarsi della sua scelta di collaborare con la giustizia. La decisione di revocare la misura di protezione viene dalla Commissione centrale del ministero degli Interni, su parere favorevole della Procura di Roma, della Procura nazionale antimafia e della Dda.
La difesa di Abbatino ha fatto ricorso al Tar del Lazio, chiedendo l’immediata sospensione del provvedimento alla luce anche di quel che sta emergendo a Roma. Lo scorso 30 luglio i giudici della sezione prima ter hanno rigettato la domanda cautelare. «L’atto impugnato (la delibera n.82 del Viminale, ndr) risulta congruamente motivato – si legge nell’ordinanza – e adottato all’esito di un’adeguata istruttoria».
Addirittura, «non emergono profili che inducano a una ragionevole previsione sull’esito favorevole del ricorso». In sostanza, sono scarse le possibilità che il collegio cambi idea. Lo Stato, quindi, dopo più di 20 anni, «liquida» Abbatino per la sua collaborazione con la giustizia con 20 mila euro.
Eppure i suoi nemici sono tanti: 40 affiliati alla Banda, grazie alle rivelazioni del boss romano, sono stati arrestati nel 1993 nell’operazione «Colosseo» e poi finiti dietro le sbarre (tra cui lo stesso Carminati). Molti di loro, dopo aver scontato la pena, sono tornati in libertà. Poi bisogna considerare le testimonianze rese da «Crispino» nei processi Calvi e Pecorelli (in quest’ultimo, tra gli imputati, oltre a Giulio Andreotti e Claudio Vitalone, c’era anche Carminati, oltre ad alcuni funzionari del Sisde poi assolti). Se l’occasione può apparire ghiotta per una ritorsione, lo Stato ritiene invece non sussistere più particolari pericoli. Il Freddo ha i sudori freddi.
2. DALLE RAPINE AI SEQUESTRI, DAI SERVIZI SEGRETI ALLA FUGA IN VENEZUELA, LA VITA PERICOLOSA DI "CRISPINO", LUNICO SOPRAVVISSUTO DELLA CUPOLA ROMANA CHE INCIUCIAVA CON COSA NOSTRA E APPARATI FANTASMA DELLO STATO
Fabio Di Chio per Il Tempo
Maurizio Abbatino contro Massimo Carminati. Ora "Crispino" (per la caratteristica dei suoi capelli), 61 anni, non dorme più sonni tranquilli. È stato arrestato da un ispettore della squadra mobile di Roma a Caracas (Venezuela) nel gennaio ’92 e da allora è in regime di protezione, oltre che ai domiciliari. Ma l’ultimo capo storico ancora in vita della banda della Magliana (ammazzati Franco Giuseppucci e Renatino De Pedis) è fuori dal programma pentiti.
Non vi sono più "angeli custodi" armati a vegliare su di lui. E i "fantasmi" del passato potrebbero tornare in carne e ossa. Con le sue dichiarazioni, il super pentito ha accusato altri di omicidi, disponibilità di armi, esplosivo e strane connivenze. In particolare, c’è un nome e cognome. È Massimo Carminati, spesse volte citato nei lunghi interrogatori del collaboratore di giustizia.
Con le sue rivelazioni, Abbatino ha tirato in ballo "er Cecato" per la strage di Bologna, il delitto Pecorelli (che coinvolse anche Giulio Andreotti). Non è stato il solo a parlare. Però i giudici non li hanno ritenuti attendibili. Così "il Nero" nel film Romanzo criminale ha passato indenne la tempesta giudiziaria che lo ha visto sul banco degli imputati per presunta commissione di feroci reati (rimasti in parte misteri d’Italia). Le inchieste non lo hanno scalfito nemmeno un po’. Ha zigzagato tra le ipotesi investigative. Ed ogni volta è venuto fuori dall’occhio del ciclone, tranne quello di Mafia Capitale.
MAURIZIO ABBATINO PORTATO IN QUESTURA jpeg
E adesso? Nel mondo della "mala" essere amico di qualcuno e poi accusarlo quando si è passati dall’altra parte, delle forze dell’ordine e della magistratura, ha il significato di un tradimento, di un’infamia. E nell’ambiente, la memoria non muore mai. Il balordo non dimentica. Ricorda il torto subito in attesa di farlo pagare quando tempo e circostanze lo permettono. Ecco perché "Crispino" potrebbe avere il sonno disturbato.
Nell’ordinanza firmata nel gennaio ’93 dal giudice istruttore Otello Lupacchini, si legge uno dei tanti interrogatori ad Abbatino, quello che poi fu ripetuto al processo per la strage di Bologna. 3 dicembre 1992: «Carminati - racconta il pentito - prese non una ma due volte il mitra Mab che non è stato rinvenuto al Ministero della Sanità. Ero presente quando prese il mitra per la seconda volta. Come accadeva normalmente, non chiesi la ragione, né peraltro gli chiesi mai di restituirla, né perché non l’avesse mai fatto... coerente con la regola di non interessarsi alle attività degli altri e soprattutto di non portare nel deposito armi comunque "sporche"».
E poi nel procedimento per l’omicidio del giornalista di Op, Mino Pecorelli (ucciso il 20 marzo ’79, a Roma). Nel marzo di tre anni dopo ai giudici di Perugia, Abbatino scandisce: «A sparare fu Massimo Carminati, componente della banda. Era presente anche il mafioso Michelangelo La Barbera. L’assassinio fu fatto per fare un favore a Claudio Vitalone».
A distanza di anni i nodi potrebbe venire al pettine. Almeno questo è il rischio e il timore dell’interessato. La perdita della protezione rende il boss (ex) vulnerabile. E andando a scartabellare il passato non è difficile capire chi potrebbe avercela con Crispino per le parole dette ai magistrati. È vero che qualsiasi cosa dovesse accadere, gli investigatori saprebbero quale indirizzi visitare per primi e chi andare a cercare. Ma evidentemente la morte fa paura a tutti. L’arresto di Maurizio Abbatino fece impensierire molti a Roma.
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«È venuto a trovarmi in carcere l’avvocato Mele - aveva riferito il bandito al giudice Lupacchini - Mi disse che gli amici avevano messo a disposizione del denaro per far fronte alle spese legali e mi chiese se era mia intenzione tornare in Italia, in quanto vi erano in alternativa la possibilità di, restare in Venezuela e quella di essere estradato in altro Paese, tipo il Messico. Mi fece anche capire che l’interessamento degli amici era dovuto al fatto che correva voce che io stessi collaborando, in particolare mi disse: "Non ho mai creduto che lei avesse intenzione di parlare"».
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