Andrea Nicastro per corriere.it
I nuovi padroni di Kabul reagiscono istituzionali e velenosi alle esplosioni che insanguinano la sera della città. Usano Twitter e lo fanno coordinati. Parlano della «grande attenzione» che il «movimento» attribuisce alla protezione della popolazione», della «ferma condanna dell’Emirato» e altre banalità tipiche di qualsiasi cancelleria. Ma è il principale portavoce, Zabihullah Mujahid, ad andare oltre, dando il senso di quel che ci si può aspettare da oggi in poi dal secondo Emirato talebano.
Sembra di vedere la smorfia di disprezzo sotto la barba folta di Mujahid. «Gli attentati sono avvenuti in un’area dove le forze Usa sono responsabili della sicurezza». Noi non c’entriamo, la colpa, insomma, è di quei perdenti degli americani. Sarà meglio che se ne vadano come hanno promesso.
Un soggetto politico nuovo e imprevedibile è entrato nella politica internazionale. Le loro parole, le loro azioni nascono dall’esperienza della guerriglia, del carcere, della tortura inflitta e subita, di una vittoria coltivata, sognata per venti anni. Hanno una sconfinata fiducia nei propri mezzi perché hanno avuto la prova che funzionano.
persone in fila per scappare da kabul
La priorità assoluta dei talebani è oggi avere le truppe straniere fuori dal Paese. Solo allora proclameranno la vittoria, vareranno un governo più o meno «inclusivo» oppure risolveranno in altro modo i dissidi tra compatrioti. Sono disposti anche a dire a Joe Biden, il capo della superpotenza che potrebbe schiacciarli con un bottone, che non può restare un giorno oltre il previsto. Non sarebbe strano fossero stati loro a far arrivare l’allarme attentato alla Cia. In una città terrorizzata, dove qualsiasi amico dell’Occidente sta il più possibile coperto, chi altri può passare un’indicazione così circostanziata? E perché non pensare male fino in fondo e concludere che siano stati gli stessi talebani ad avverare la loro previsione?
Per gli «studenti coranici» offrire agli Usa la scusa del terrorismo per chiudere il ponte aereo è un’operazione facilissima da mettere in piedi. Le competenze non mancano di sicuro.
militari americani all aeroporto di kabul
Il nuovo ministro della Difesa, Abdullah Gulam Rasoul, nome di battaglia mullah Zakir, venne fermato dalle truppe americane nel dicembre del 2001. Aveva un kalashnikov, delle bombe da mortaio nel bagagliaio e due orologi Casio al polso. Allora gli americani non pensavano di dover trattare con lui da ministro e lo trattarono in modo piuttosto ruvido. Come mai due orologi? Li convinse di aver paura di arrivare in ritardo. Non sapevano che Mullah Zakir si dilettava ad inventare trappole esplosive e che quegli orologi funzionavano come timer. Da allora il neo ministro ha passato sette anni nell’università del terrorismo del carcere Usa di Guantanamo per poi convincere gli esperti di deradicalizzazione che la sua volontà era spezzata, che avrebbe solo coltivato la terra. Pochi mesi dopo la scarcerazione guidava l’offensiva contro i britannici nella provincia di Helmand. Figurarsi che difficoltà avrebbe ad annunciare un rischio attentati e poi a realizzarlo.
Ci sono decine di gruppi talebani che potrebbero aver preso l’iniziativa di dare la spallata finale alle velleità degli stranieri di restare e degli afghani di scappare.
I primi sospetti sono gli affiliati del network Haqqani , per anni rivali e poi confluiti nel movimento talebano. Risponde a loro la maggior parte dei miliziani nella capitale. Gli Haqqani controllano un’area più grande dell’Austria a cavallo della frontiera tra Afghanistan e Pakistan. Entrano ed escono dal quartier generale delle Forze armate del Pakistan a Rawalpindi come fossero generali pachistani. Ma sono anche i più stretti alleati di ciò che resta di Al Qaeda in Afghanistan.
I talebani «ufficiali», quelli della «shura di Quetta», gli eredi diretti del fondatore del movimento mullah Omar, hanno promesso a Washington di tagliare ogni aiuto ad Al Qaeda. Gli Haqqani hanno accettato, ma chissà? Perché non fare un ultimo dispetto?
Poi certo, c’è l’accusato ufficiale: lo Stato Islamico del Khorasan. Si tratta di talebani che hanno lasciato la casa comune per mettersi al servizio del marchio internazionale del terrore. L’hanno fatto per ricevere finanziamenti e volontari, per velleità di espansione internazionale. Ma sono stati talebani e possono tornare ad esserlo. Oggi sono il perfetto colpevole, ma domani potrebbero entrare nel famoso governo «inclusivo». Prima, però, gli stranieri devono andarsene. E l’avviso è arrivato forte e chiaro: prima sarà, meglio per tutti.
kabul strage aeroporto kabul strage aeroporto attentatore