LA TERRA DEI FUOCHI DI MILANO – 15 ARRESTI NELL’INCHIESTA SUI CLAN DELLO SMALTIMENTO CLANDESTINO - LA LORO ATTIVITÀ? CERCARE UN CAPANNONE, RIEMPIRLO DI RIFIUTI E DARGLI FUOCO: È LO SCHEMA CHE SI RIPETE DA ANNI IN LOMBARDIA E CHE HA AVUTO NEL ROGO DI OTTOBRE SCORSO IL CASO PIÙ ECLATANTE – I “PROCACCIATORI” DELLA SPAZZATURA ARRIVANO DA CASERTA E SALERNO E SPOSTANO TONNELLATE DI RIFIUTI AL NORD, CON GUADAGNI ENORMI E POCHISSIMI RISCHI…

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Cesare Giuzzi per il “Corriere della Sera”

 

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«Mi disse che avrebbero fatto il botto». A parlare è un imprenditore brianzolo che, qualche giorno dopo il rogo che il 14 ottobre scorso ha distrutto la discarica abusiva di via Chiasserini a Milano, contatta via mail i magistrati della direzione antimafia. Racconta di un amico, Valentino Bovini, che mesi prima lo aveva portato davanti al deposito dicendogli che «loro» erano in cerca di nuovi capannoni da riempire di rifiuti.

 

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Bovini, originario di Desio (Monza e Brianza) prova a coinvolgerlo nel business, ma l' imprenditore si defila. Il 15 ottobre, la mattina dopo lo scoppio dell' incendio - che ha richiesto l' impiego di 172 equipaggi dei Vigili del fuoco -, i due si incontrano per caso fuori da un' edicola: «Hai sentito? Abbiamo finito», racconta l' amico.

 

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Eccolo sintetizzato il sistema della «Terra dei fuochi» del Nord: cercare un capannone, riempirlo di rifiuti fino al soffitto e poi «fare il botto», dargli fuoco. Uno schema che negli ultimi anni s' è ripetuto una ventina di volte in Lombardia e che ha avuto nella vicenda di via Chiasserini il caso più eclatante, con l' aria di Milano irrespirabile per una settimana.

 

Un rogo «doloso» che formalmente non ha ancora responsabili, visto che nelle 81 pagine di ordinanza di custodia cautelare in carcere firmate dal gip Giuseppina Barbara non c' è l' accusa di incendio. Ma su questo le indagini della Dda, coordinate dall' aggiunto Alessandra Dolci e dal pm Donata Costa, continuano. C' è, invece, un imprenditore del settore dei rifiuti (Aldo Bosina, 55 anni di Cureggio, Novara) che grazie ai familiari crea un' azienda per prendere in affitto un' area alla periferia Nord di Milano dove smaltire le ecoballe.

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C' è una rete di «procacciatori» della spazzatura (che arrivava soprattutto da Caserta e Salerno). E c' è un sistema di falsi formulari e finte fatture per nascondere la provenienza (e l' esistenza) dei rifiuti. In mezzo ci sono controlli quasi inesistenti che garantiscono pochissimi rischi e ingenti guadagni visto che ogni tonnellata di rifiuti veniva ritirata a 150 euro, e che la «Ipb Italia» ne ha mosse almeno 37 mila in pochi mesi. Tanto che dopo il rogo, Bosina e i suoi non si fermano e replicano il sistema in Veneto e nel Lodigiano, come confermano le indagini del Noe dei carabinieri.

 

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Gli arresti della Squadra Mobile, diretta da Lorenzo Bucossi, sono arrivati in meno di quattro mesi. E nell' indagine - anche se non vengono contestate aggravanti mafiose - pesano alcune presenze di soggetti legati alla cosca della 'ndrangheta Iamonte di Desio (Monza). I magistrati hanno sequestrato beni per oltre un milione e arrestato in totale 15 persone.

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Quando il 19 ottobre i poliziotti arrivano all' ingresso degli uffici di Cureggio per sequestrare i documenti, Bosina ordina all' impiegata di gettare il computer in un bosco.

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Altre carte erano invece nascoste in cantina. Tre giorni prima dell' incendio, la polizia locale di Milano aveva fatto un sopralluogo nel capannone di via Chiasserini dopo le denunce dei proprietari dell' area (la «Ipb srl»).

 

I vigili avevano trovato 16 mila metri cubi di rifiuti illegali. Ma avevano deciso di non sequestrare l' area e di tornare la settimana successiva nell' attesa di capirne la provenienza. Atto che per il gip sarebbe stato invece «auspicabile e necessario». E che avrebbe evitato il rogo.

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