Antonio Caperna per "il Giornale"
La necessità della terza dosa sta catalizzando il dibattito scientifico e politico dell'estate. Se da un lato, infatti, si spinge per raggiungere la massima copertura della popolazione, ragionando sui giovani per il prossimo anno scolastico e su qualche milione di over 50 ancora scoperto, dall'altra non si hanno le idee chiare se attivarsi in una nuova campagna vaccinale e soprattutto a chi destinarla.
Il rischio concreto è di andare in ordine sparso con alcune nazioni che hanno già deciso (Israele, Germania, Gran Bretagna), altre con qualche dubbio (Italia), altre ancora lontane dal dibattito (Svizzera) mentre l'Agenzia europea del farmaco Ema ha ribadito ancora una volta, tramite il direttore esecutivo, Emer Cooke, che «al momento non ci sono dati sufficienti per indicare che sia necessario un richiamo. Per alcune popolazioni si potrebbe iniziare a vedere la necessità, il che non significa che ce ne sia bisogno in generale».
La questione, perciò, assume soprattutto i caratteri di una scelta politica anche per metter un freno alla recrudescenza di contagi per la variante Delta, poiché dal punto di vista scientifico mancano le prove per una decisione definitiva. Lo studio condotto in Israele e pubblicato sul New England Journal of Medicine, infatti, è solo un primo passo: su 11.500 operatori sanitari coinvolti ne sono stati identificati solamente 39 vaccinati e reinfettati con sintomi lievi o nessuno; tra questi in appena 22 lavoratori si hanno avute misurazioni anticorpali.
I ricercatori hanno poi esaminato i dati di 104 lavoratori completamente vaccinati, che non sono stati infettati pur essendo stati a contatto con il virus. Il confronto ha mostrato che i livelli di anticorpi neutralizzanti erano più bassi tra coloro che sono stati infettati, fornendo la prima prova diretta di questo effetto. Un dato simile si era ottenuto durante gli studi clinici per Astrazeneca. Il numero esiguo del campione e il fatto che «l'analisi non fornisce un livello specifico di anticorpi associato alla protezione, e su questo è necessario ora indagare», sottolineano gli autori, lascia qualche dubbio.
Da considerare poi i dati sulle reinfezioni nei guariti da Covid, come riportato a fine maggio su Jama Internal Medicine. In questa situazione complessa il dg della Prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza, ha sottolineato comunque la necessità di decidere «nel giro di un mese chi vaccinare e in quali tempi con una terza dose. Una decisione che va meditata bene. Probabilmente saranno persone più fragili e immunodepresse ma non sappiamo quando. C'è indecisione, perché non ci sono ancora evidenze forti per poter dire che la faremo a tutti piuttosto che ad alcuni».
In Israele intanto, è partita la somministrazione su base volontaria agli over 60, anche se in un sondaggio, solo il 52% degli israeliani con due dosi sarebbe disponibile alla terza. Secondo la ricerca, rilanciata dal Jerusalem Post, appena il 47% degli under 60 riceverebbe un'ulteriore dose, che sale al 67% negli over 60. La vicina Svizzera è attendista, con Virginie Masserey dell'Ufsp, che ribadisce innanzitutto la necessità vaccinare chi ancora è scoperto e dopo si penserà alla terza dose.
La Germania e la Gran Bretagna invece puntano già al 1 settembre: i ministri della Salute dei Länder hanno approvato all'unanimità un piano per iniziare con Pfizer o Moderna dalle persone anziane e a rischio; Oltremanica il governo sta «preparando un piano di richiami» per 32 milioni di persone tra over 50, fragili, lavoratori dell'assistenza e della sanità ma i dettagli della decisione finale saranno resi pubblici «a tempo debito» anche sulla base di studi in corso.
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