Fabio Amendolara per “la Verità”
GIOVANNI LEGNINI LUCA PALAMARA
L'accusa, rappresentata dal sostituto pg Ignazio Patrone, l'aveva incolpato, mandandolo alla disciplinare. Ma Giovanni Legnini, in quel momento vicepresidente del Csm, che presiedeva una delle sezioni rivelatasi in quel caso tra le più garantiste della storia della magistratura italiana, con accanto Nicola Clivio, relatore, e Luca Palamara nel ruolo di magistrato di merito, lo assolsero.
E con 51 pagine fitte Legnini, Palamara & company motivarono una sentenza che, riletta oggi, sembra trasudare una difesa d'ufficio che non appare diretta solo a salvare il collega ma tutta la categoria, introducendo un principio nuovo: la legittima difesa della toga a mezzo stampa. «La casta è casta e va sì rispettata», ammoniva il principe Antonio De Curtis in arte Totò.
E a rileggere la sentenza della Sezione disciplinare del Csm con la quale fu assolto il giudice Antonio Esposito, accusato dalla procura generale della Cassazione di aver propalato inopportunamente e prima ancora di aver scritto la sentenza la decisione su Silvio Berlusconi per l'affare dei diritti tv all'ex amico giornalista del Mattino Antonio Manzo che, così, tirò fuori uno scoop, sembra proprio che la casta si arroccò.
Legnini & co. spiegarono che il collega (che presiedeva la sezione estiva della Cassazione che fissò immediatamente il processo) fu costretto a rilasciare l'intervista per difendersi dagli attacchi della stampa ostile, quella «apertamente schierata a favore dell'imputato». Esposito, quindi, non solo non commise un illecito, ma agì per tutelare la sua onorabilità: «L'antigiuridicità della condotta va, in ogni caso, esclusa in radice per avere l'incolpato commesso il fatto in presenza delle cause di giustificazione dello stato di necessità e dell'adempimento di un dovere».
Legnini & co. non hanno indugiato a piazzare il principio della legittima difesa come pietra angolare su cui poggiare la motivazione: «L'accensione dei riflettori sulla sua persona gli aveva già (...) cagionato diversi dispiaceri e in quel momento non aveva cercato ulteriore notorietà, ma era intervenuto per ristabilire la verità dei fatti in un dibattito che aveva preso una piega oltraggiosa nei suoi confronti».
I documenti confluiti nel fascicolo, valutano Legnini & co., «possono considerarsi solo esemplificativi della intensità e della virulenza con la quale questo argomento (l'avere fissato in tempi da record il giudizio) venne veicolato da alcuni organi di stampa». Secondo la Sezione disciplinare, insomma, Esposito era finito sulla graticola.
«Vi erano stati attacchi da parte della stampa», scrissero in sentenza, «suscettibili di compromettere l'onore dell'odierno incolpato e questo fece ricorso alla intervista per ristabilirlo davanti alla opinione pubblica». Ma Esposito avrebbe potuto rivolgersi al Csm (per aprire una pratica a tutela), o sporgere querela.
GIOVANNI LEGNINI LUCA PALAMARA
Pure per queste obiezioni Legnini & co. hanno trovato una pezza: «Attendere una risposta del Csm dai tempi e dagli esiti del tutto incerti risultava sostanzialmente inesigibile. Identiche considerazioni, per ovvie ragioni, vanno svolte con riguardo alla possibilità di ottenere adeguata difesa per mezzo dello strumento della querela per diffamazione a mezzo stampa, attesa la strutturale complessità dell'accertamento di responsabilità penale, la non urgenza dell'affare che sarebbe stato trattato senza alcun criterio preferenziale e la notoria difficoltà per gli uffici giudiziari di portare a compimento indagini e processo in tempi ragionevoli».
La giustificazione la trovarono così: «Si era in agosto, in pieno periodo feriale, con la sostanziale impossibilità per il magistrato di ottenere qualsiasi forma di tutela perlomeno per un altro mese». Maledetti tempi lunghi della giustizia.
giovanni legnini foto di bacco giovanni legnini