Michele Masneri per “Il Foglio”
PIERSILVIO BERLUSCONI A PORTOFINO
Che bella Portofino. Che palle Portofino. Bello questo mare pettinato con brughiera intorno, e paesaggio romantico-britannico da rovina ottocentesca: sembra Grazzano Visconti e infatti piace tanto alle borghesie milanese, torinese e genovese, dunque le più cattive. “Senta amico mio, sono a Cortina a camminare, ho il fiatone, risentiamoci”, mette subito in chiaro Antonella Camerana, dinastia sull’asse Mi-To, autorità morale, qui. E poi dopo, più rilassata: “un tempo era molto più brillante, Portofino.
Nel senso degli italiani. Ora è invasa dalla moda, son tutti stilisti, i grandi animatori sono Dolce e Gabbana”; il riferimento è naturalmente ai designer siculo-milanesi che han colonizzato la rive droite di Portofino, perché qui si deve stare attenti alle distinzioni. A sinistra, spiega Pupi Solari, istitutrice delle prosapie milanesi in cardigan, e altra autorità morale, c’è “il Monte”, che è l’altro promontorio, dove stanno lei, l’Hotel Splendido e i Tronchetti-Provera. “Portofino nello spirito non è cambiata granché. Per me è come se non ci fossero, gli stilisti” dice orgogliosa Solari.
BEPPE GRILLO E MASSIMO BOLDI A PORTOFINO
Stilisti e crocieristi, come sopravvivere? La rive droite a metà luglio ha visto una festa quasi rinascimentale, quattro giorni, sparsa per le dimore Dolce e pure Gabbana, con cacce al tesoro e abiti dorati e una specie di carnevale per signore molto liquide asiatiche in onore della principessa Delfina, con ori e tesori da favola; filologica, anche, perché del resto Portofino si chiama così non per quel “fino” molto milanese ma per un antico “portus delfini” addirittura con copyright risalente a Plinio. Però, sulla rive droite, più di un’invitata ha rischiato il coccolone salendo a piedi in questa specie di Monti Parioli punitiva, sotto il castello Brown e il faro e la villa Altachiara degli Agusta.
STATUA DI CRISTO A SAN FRUTTUOSO VICONO PORTOFINO
A tutte queste ville finte sobrie (con fili spinati e telecamere però da Fort Knox, molto ben dissimulati) si accede infatti solo con immani sofferenze, a piedi, in Ciao, o con “apine” o Cinquecento (ma il modello vecchio), oppure con un ascensore (sociale) molto ambito, sulla riva destra del porto, tra i panfili fatali.
RUBY CON LUCA RISSO A PORTOFINO
Entrando in porto col gozzo di Fulvio Marcello Zendrini, comunicatore tra Milano e Camogli, ecco la distesa di barche: i due velieri Borromeo e Tronchetti, accostati, entrambi blu, tipo leoni al sole; ecco il Benbow amaranto dei Recchi; manca naturalmente il Mau Mau V del vecchio conte Agusta. Ma lì, sulla marina, ecco questo ascensore, tipo condominio molto prestigioso, per andar su alle ville, le chiavi le hanno oltre a Dolce e oltre a Gabbana, i signori Zucchi (tessuti), Armani, e naturalmente gli ex Agusta (che si dirà tra poco, ci sono novità).
Quando si passa noi, aitanti giovanotti sono in attesa di entrare nel pertugio che porta all’ascensore, chissà in quale villa andranno, loro oppongono il massimo segreto. Però che dinamiche ascensoristiche interessanti si immaginano, tra un “che piano?”, e “prego, prima lei”, e che divertente, quando sarà arrivata la contessa Agusta. Qui una dama milanese racconta di quando dopo pranzi anche molto formali scendevano dai pertugi dame Recchi, Pirelli, Mondadori, Camerana, e la Agusta aizzava i cani, con azzannamenti di polpacci araldici e cause civili e penali (altre volte, narrano, si produceva in pipì in piscine vicine, a volte di Maria Pia Fanfani, e insomma suscita parecchia simpatia, tra questi vicini molto stiff con passeggiate punitive e cacce al tesoro, e lei invece con l’eliporto e le sostanze).
Perché la vita boschiva, su un Monte o sull’altro, può esser dura. “Se hai dimenticato di comprare il latte ti puoi anche suicidare” - dice Camerana; “Ci sono solo boutique, ormai”. “Non ci suicidiamo per niente” risponde “la Pupi”. Che oltre ad aver insegnato cinquanta sfumature di beige ai bambini milanesi è famosa qui per una caccia all’uovo pasquale organizzata per minori almeno dell’area C (lo segnala un affezionato ed entusiasta, Arturo Artom). Ma come funziona codesta caccia all’uovo? Le nascondete le uova? Le sotterrate?
“Scusi, ma cosa le interessa a lei” risponde Solari, nella sua asciuttezza genovese-milanese-portofinese. “Io non so niente, non dico niente, vada a parlare al bar dove andiamo noi sempre, da Ugo Morena, lui sa tutto”, e si va, e lì un altro saggio di portofinesità. Si entra, gran sorrisi, la signora sta preparando degli spritz, quando si dice “buongiorno sono un giornalista” casca la faccia e l’espressione, non un cenno, solo gelo, poi viene indicato il marito, “parli con lui”, e quello, “magari più tardi”, trattati insomma peggio che se si fosse dell’Equitalia o dell’Isis.
Poi si attraversa la piazzetta e si va da Puny, che sfama da sessant’anni il Mibtel e i jet set globali – a cena, questa sera, ci sono Magic Johnson e Samuel L. Jackson – e Puny, ottantatrè anni, bella faccia triste, braccia incrociate, mai un sorriso, lima le parole: “certo, Richard Burton e Liz Taylor venivano sempre qui, e litigavano”. “Anzi no, scriva bisticciavano”. Silenzio. e poi ricordi da tirar fuori con la pinza: “l’ingegner Leopoldo, una cara persona” (Pirelli); “Arnoldo Mondadori ha fatto tanto per Portofino”. Silenzio. “Bisogna ricordarsi soprattutto chi vuole l’aglio, chi non lo ama, la gente si aspetta questo”. Fine. Poi arrivano delle sciure tipo Borletti-Buitoni, che dicono “Buonasera-Puny-Come-Andiamo” come tante Franche Valeri nel “Vedovo”.
Poco più in là, a Paraggi, c’è poi naturalmente il castello da sempre di proprietà dei Bonomi, di Anna Bonomi “gran sciura dei dané”, inventrice anche del Postalmarket, e ispiratrice della Valeri in quel film: mandò a dar via i ciapp Winston Churchill qui in visita che voleva farle aprire i cancelli: “se è venuto a trovare me, bene, se è venuto a vedere il castello, si vede benissimo da fuori”. Oggi feudo (in affitto) di Piersilvio Berlusconi che negli impervi tornanti si dedica al jogging, come molti qui, nella mulattiera più pericolosa del mondo, tipo costiera amalfitana ma più stretta (con senso di colpa forse da classi alte, lo stesso che porta a fare scarpinate nei boschi sconnessi).
Parcheggiata la nostra Audi A3 sotto il castello Bonomi-Berlusconi, proprio sotto ecco il Carillon, dove Fred Buscaglione dopo tutte le canzoni sulla mala compose “Love in Portofino” poi addolcita da Johnny Dorelli. Però, al Carillon, di Buscaglione non vi è traccia: c’è un nuovo proprietario, Tonino Rocca, che punta più che altro sui ricevimenti. Meglio scavallare e tornare sul Monte: allo Splendido, il direttore Ermes De Megni, che non è portofinese, è cordiale, dice che questa stagione 2015 è andata benissimo per Portofino, oltre ogni attesa (il presidente degli albergatori, Adalberto Gigli, pure ribadisce, “ottima annata, grazie agli americani tornati per il dollaro forte e al tempo stabile”). Poi De Megni mostra le firme di Edoardo VIII e Wallis Simpson e Groucho Marx sul registro degli ospiti, e racconta che la Taylor “quattro lune di miele su otto le ha passate da noi”. Un buon punteggio.
francesca vacca agusta e maurizio raggio
E poi di quando girarono “La contessa scalza” con Ava Gardner, qui a Portofino, nel 1954. Il film di Mankiewicz era poi una storia molto mélo di un conte italiano che sposava una avventuriera; il motto del blasone cinematografico era “Che sarà sarà”, ispirerà la celebre canzone, ma soprattutto sarebbe andato bene anche per la povera Vacca-Grifagni precipitata in mare. “Per la controfigura in un tuffo presero una bellissima portofinese. Ma lei non tollera che si mostrino le sue foto, e non volle dire mai il suo nome” racconta De Megni.
Insomma, Portofino dei segreti, e davvero dev’essere un paradiso per classi affluenti omertose, con una malmostosità ligure a chilometri zero a proteggere le privacy.
francesca vacca agusta e maurizio raggio
Anche alla Gritta, al bar dei Raggio, ecco un approccio portofinese in purezza: un giovane cameriere albanese bel ragazzo che è uguale a Raggio da giovane, tifa Beppe Grillo e dice che la devono smettere di darci i contributi pubblici, ai giornali. Lo si rassicura, è già successo, allora si rilassa. Poi un barman finto-cattivo ci maltratta un po’ (in realtà è buono).
Poi finalmente appare lui, Maurizio Raggio, anni cinquantasei, forse faccendiere, forse playboy, tutte attività che evidentemente fan bene alla pelle, perché ne dimostra dieci di meno, ed è simpatico. Infatti non è di Portofino, è bolognese. “Sono nato a Bologna perché mia mamma era di lì”. E questa mamma era bellissima, sembra Grace Kelly, c’è in numerose foto in bianco e nero nella Gritta, l’unico bar con chiatta di Portofino, aria di covo della mala, decadenza giusta, facce segnate da vite rombanti, tinture di capelli, Bellini fatti come si deve. “Il papà di Raggio era una persona molto intelligente” dice la contessa Camerana che in altri anni s’era lasciata più andare (“il Nobel dei barman”, al Corriere, epoche fa).
“Mio papà aprì questo posto nel 1954, per gioco. Era tornato dal Sudamerica dove era andato per ricevere un’eredità. Tornato qua, ha preso questo magazzino che aveva, voleva farne un club, per evitare affollamento fa dei prezzi esagerati, fuori dal comune, e questa naturalmente si rivela la ricetta del successo. Rex Harrison veniva sempre qua, grazie a mio papà ha comprato la casa qui su, qui da noi ha festeggiato l’Oscar (ci sono le foto con la mamma e Harrison e “welcome home Rex”);
Raggio dà subito la notizia. “La casa l’abbiamo venduta sai? Ai primi di luglio”. La casa è naturalmente villa Altachiara, quella da cui nel 2001 è precipitata Francesca Vacca Agusta, in un reality misterioso che ha portato subbuglio nel borgo calvinista di Portofino. La casa dopo varie vicende testamentarie è andata a Raggio. Ma chi ha comprato adesso? “L’ha presa un russo molto amico di Scaroni, il nome non me lo ricordo, è uno di quelli difficili, da russo” (è Eduard Khudaynatov, amministratore delegato della Rosneft, nda). A quanto? “Venticinque”.
“Ora stanno facendo i lavori, devono rifare il giardino, l’impianto elettrico ed idraulico”. Ma si può visitare? Il russo è già arrivato? “Non c’è ancora entrato, la stanno sistemando”. “Ti faccio vedere il video che ho fatto per venderla”, e su questa chiatta, intorno all’una di notte, Raggio mi porge il suo iPhone; “aspetta, questo è un tonno che ho pescato ieri”, e c’è una foto di lui con questo grande tonno in mano.
Poi parte un video amatoriale, con audio in inglese che non si sente molto, e musiche sotto: prima Cher, “Believe”; intanto: “Queste riprese le ho fatte io dall’elicottero”; poi Cat Stevens, “Morning has broken” mentre la voce in inglese dice i metri quadrati e le caratteristiche e i saloni; poi “Clocks” dei Coldplay, in un crescendo grandioso-malinconico, mentre sfilano le immagini di una casa sontuosa e un po’ surreale, perché pare abitata, con candelieri e argenterie lustre e non una casa del delitto e del mistero.
“L’abbiamo arredata tutta io e Francesca, aspetta, questa è la mia parte privata”, e sembra la stanza da giochi di un grosso bambinone viziato, con letto a baldacchino a quadri coordinati con le tende. “Questa è la mia camera da letto”, poi ecco distese di uova Fabergé, sfere di marmo, vasi Gallé e Lalique; ma adesso tutta questa roba? “Portato via tutto l’Equitalia”, non si capisce bene perché.
Ricordi anche agresti; “Io ci ho vissuto dall’86 in poi. Ventisei anni. Son trentamila metri di terreno, col giardino intorno a casa, il frutteto, il giardino botanico. Facevo i pomodori, l’insalata. Da metà ottobre raccoglievamo tutte le olive, con le reti, senza farle cadere a terra, facevamo anche l’olio. Facevamo solo duecento litri, lo regalavamo agli amici a Natale” (l’olio di villa Altachiara, che cimelio). Quindi hai preso venticinque milioni, gli si chiede. Non male.
francesca vacca con il marito conte agusta
“Fino al 2009 ho rifiutato qualunque offerta” dice Raggio. “Ho rifiutato 42”. “Anche Berlusconi aveva cercato di comprare Altachiara nel 1987, o forse era il 1988, ma Francesca gli ha detto di no. Poi dopo quando è mancata lui non l’ha più voluta”. Per la maledizione (sulla casa pare penda un maleficio, anche perché la casa era dei Carnarvon, sponsor delle spedizioni alla scoperta di Tutankamon, con sfighe poi ereditarie)? “Ma no, quella è una balla che si è inventata Rocky Agusta una volta a Porta a Porta” – il figlio di primo letto del Conte. “Doveva essere ubriaco o strafatto, se l’è inventata lui, ha detto “questa casa io non l’ho mai voluta, porta sfiga, c’è la maledizione di Tutankamon’, prima di quell’intervista non c’era questa idea, vai a vedere su Internet”.
Ok, ma adesso che ne fai di questi venticinque milioni? “Ho un progetto per una cosa nel settore farmaceutico, tra qualche mese ci quotiamo a Wall Street. Un po’ per scaramanzia, non voglio dire niente”. E non hai più casa qui? “Sì sì, ho appena preso quell’attico lì di fronte – e indica una terrazza illuminata, rive droite, “due piani, va benissimo no?”, e ride.
Poi fondamentali domande: si dice Agusta o Agusta? “Agùsta”. E memorie dalla “seconda dolce vita, cioè gli anni Ottanta”.“Bettino atterrava su da noi con un elicottero militare, poi stava ospite da noi o dai Recchi”; E qui altra foto, entrando nel bar, a destra, ecco la mamma Grace Kelly bolognese con “Bettino”.
La famiglia era amica di Cesare Benzi, del Psi. “Mio padre fece una festa per i suoi cinquant’anni, qui, dove io conobbi Bettino. Poi dopo ci siamo rivisti quando ero più grande”. Raggio, si dice, gestiva i conti esteri di Craxi; però scusa, senza offesa, ma perché avevi questi conti, cioè un presidente del consiglio si affidava al figlio del barista di Portofino? “Perché aveva grande fiducia in me”. “Io all’inizio facevo delle cose per Bettino, delle operazioni importanti. Anche politiche. Non lo sapeva nessuno. Io lo facevo bene”. Ma tu cosa facevi ufficialmente? “Cose immobiliari”. Vabbè.
Poi t’hanno preso però. “Ma mica qui. Con me gli è andata male a Di Pietro. Era il compleanno di mia mamma, era ottobre 1994. Ero qua su in villa, mi avvisano che c’erano cinquanta persone che mi cercavano e le motovedette che avevano chiuso il porto, pensavano che scappassi con un sommergibile, non so (ride). Loro non avevano il mandato quindi non potevano entrare, dovevano beccarmi in giro. Era all’ora del tramonto, allora vado in magazzino, mi metto la tuta del giardiniere, e ho preso un’Ape carica di vasi, rastrelli, scope, cespugli, quella del giardiniere, insomma, e vestito da giardiniere sono venuto giù, piano piano supero i posti di blocco, vado al garage di casa mia, lascio giù l’Ape e invece di prendere il Mercedes ho preso la Lancia Thema, però era la Thema col motore Ferrari, blu scura, sono andato da qui a Rapallo a quaranta all’ora, per non dare nell’occhio, poi entro in autostrada, lì scateno tutti i cavalli, in un’ora e quaranta sono all’Hotel de Paris a Montecarlo”.
“All’epoca avevo un jet Citation II in Svizzera, me lo faccio portare a Nizza. Da lì vado ad Hammamet, poi chiamo Francesca sul cellulare. All’epoca per intercettare i cellulari dovevi essere vicino qui sotto, non potevi farlo dalla centrale come adesso, quindi le dico di raggiungermi a Montecarlo, poi siamo passati con l’aereo a prenderla. Facciamo un finto piano di volo, decolliamo verso Francoforte, dopo venti minuti dal decollo vado in cabina di pilotaggio e ordino al comandante: “spegni il trasponder”.
Col trasponder staccato, da terra, tu sparisci, nessuno ti può più localizzare. “Adesso gira l’aereo” dico al pilota, e siamo andati a Londra, in un minuscolo aeroporto, e poi siamo scomparsi nella città, è venuto a prendermi un mio carissimo amico che adesso non c’è più, era dell’MI6, senza passaporti né niente, poi siamo scomparsi dentro Londra. Erano anni belli”. Lo sai che hanno fatto una fiction su quegli anni, gli si chiede, a notte inoltrata, sulla chiatta. “Ah, non lo sapevo. Io ci sono?”. Intanto, sul Monte e sul promontorio le signore milanesi e torinesi son già andate a dormire da un pezzo.