Estratto dell'articolo di Giacomo A. Dente per “il Messaggero”
Pasta ripiena e gola. Un connubio molto antico su cui non tramonta mai il sole [...]
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Sotto il profilo storico, puntando lo sguardo sul tortello, appare evidente che questo piatto si porta dietro sicure ascendenze medioevali. Più precisamente, in principio furono le torte, i pasticci, i pastelli, un modo intelligente per conservare e presentare in bella forma ogni tipo di vivanda. Non per caso in antico, come spiega lo storico Massimo Montanari, con la parola tortello veniva indicato il contenitore, mentre raviolo si chiamava la farcia.
Quello che è certo è che già nell'immaginario trecentesco la pasta, specie quella ripiena, evocava sublimi orge della gola, come suggerisce Boccaccio con la sua terza novella dell'ottava giornata dove «in una contrada che si chiamava Bengodi eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevano che far maccheroni e ravioli e cuocergli in brodo di capponi, e poi li gittavano quindi giù».
Sarebbe stato però nel rinascimento che il tortello avrebbe assunto una sua nobile dimensione. Propizio fu il matrimonio, correva l'anno 1490, di Isabella d'Este con Francesco II Gonzaga, che insieme a una speciale attenzione per le arti, portò anche un grande patrimonio di cucina col suo cuoco Cristoforo Messisbugo che nel suo grande trattato Banchetti, composizioni di vivande et apparecchio generale parla in maniera esplicita di ritortelli. Come non è un caso se qualche decennio dopo lo scalco di Alfonso II d'Este abbia sistematizzato una ricetta di tortelli di zucca con butirro e zenzero.
Da quel momento comincia il viaggio del tortello nel bel Paese. La parte del leone la fa qui l'Emilia Romagna, dai cappelletti di Cesena ai cappellacci di zucca ferraresi, dai balanzoni o tortelli matti di Bologna, agli agnolini a mezzaluna di Parma, dai tortelli verdi di Reggio Emilia, al raffinato tortel dols con vino cotto, mostarda e pangrattato caro a Maria Luisa d'Asburgo, duchessa di Parma. Ma si può continuare anche fuori dal confine padano coi culurgiones sardi a base di pecorino, patate aglio e menta, con la versione del Mugello e quella maremmana, o ancora, nel formato maxi, con quella in uso nelle Marche.
cappellacci di zucca ferraresi
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