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È una vera piaga sociale, oscurata dal governo, ma che, secondo dati diffusi da attivisti, coinvolgerebbe circa 20 mila donne: rapite o misteriosamente scomparse, sono costrette a prostituirsi in bordelli, i postriboli, o in case private.
L'Argentina, che ancora piange i desaparecidos della dittatura militare, continua ad essere luogo di arrivo e di transito per migliaia di persone sequestrate, per la stragrande maggioranza donne. Svanite nel nulla, per loro non esiste un'apposita statistica ufficiale, così finiscono nel “calderone” degli scomparsi, stimati dalla Sicurezza nazionale nel 2018 in poco più di 10 mila individui.
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Una ferita aperta trasformatasi da 15 anni a questa parte in una voragine, nonostante un'apposita legge del 2008 riconosca la tratta come reato, con un testo non privo di limiti denunciati dalle stesse organizzazioni femministe. Le vittime maggiorenni devono dimostrare di essere state effettivamente sequestrate e di trovarsi nei bordelli contro la propria volontà. Nel 2012 è stato modificato in Ley 26.842, che ha introdotto pene più severe e il divieto la stampa di pubblicità per l'offerta di prestazioni sessuali.
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Eppure di prove della tratta destinata allo sfruttamento sessuale il Paese ne è disseminato, persino a Buenos Aires, uno dei fulcri del terribile fenomeno: piccoli fogli di ogni colore, delle specie di biglietti da visita di centinaia di postriboli in cui ragazze e donne sono costrette a prostituirsi. Per lo più originarie dalle zone più remote e indigenti del Paese, ma anche straniere, sono state vendute da parenti, da pseudo fidanzati, adescate con falsi annunci di lavoro oppure prese in ostaggio negli ambienti del narcotraffico.
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A lottare senza sosta per ritrovare tutte le figlie, sorelle, zie, cugine o amiche scomparse è l'associazione Madres vi'ctimas de trata, che il terzo venerdì di ogni mese da ormai quasi 4 anni manifestano nell'emblematica Plaza de Mayo, dove da decenni ogni giovedì fanno sentire la loro voce le madri dei desaparecidos della dittatura militare argentina (1976-1981), in tutto circa 30 mila.
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Queste madri vestite di rosso, accompagnate da Las Mariposas, un collettivo di espressione corporea contro il sistema patriarcale, marciano attorno alla Piramide, di fronte al palazzo presidenziale di Casa Rosada per esigere risposte dallo Stato e una ricerca attiva delle loro `desaparecidas´. Intorno al collo ognuno di loro indossa un cartello con la foto di una giovane o un'adulta introvabile, con il suo nome e cognome, e l'appello «Scomparsa nelle reti della tratta» («Desaparecida por las redes de trata»).
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«Le nostre figlie sono scomparse come avveniva durante la dittatura e vogliamo ritrovarle vive. Questa è la nostra unica forma di visibilità. A gran voce chiediamo la chiusura dei `prostibulos´ e il riscatto delle nostre figlie» ha detto alla testata online Nueva Ciudad la 69enne Margarita Meira. Dieci anni fa ha fondato Madres vi'ctimas de trata, con sede a Constitucio'n - famigerata zona di Buenos Aires - alla quale in tutto hanno aderito altre 18 madri che, come lei, cercano disperatamente la propria figlia e non si arrendano.
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Oltre a sensibilizzare la società civile sulla tratta e a manifestare per avere giustizia, Meira e le altre esponenti dell'associazione ricercano e riscattano le ragazze, con, in alcuni rari casi, storie a lieto fine.
Nel 1991 Graciela Susana Bekter, detta Susi, la figlia 17enne di Meira, è stata venduta a un postribolo dal fidanzato, ladro e narcotrafficante, ma all'epoca non sapeva cosa fosse la tratta. Con la sua battaglia in tribunale ha fatto un buco nell'acqua ma poi, quattro anni dopo, per caso, ha ritrovato la figlia morta, il cui corpo senza vita era stato portato in commissariato.
Ufficialmente è stata dichiarata vittima di un incidente domestico, una finta perdita di gas, ma poi Margarita è riuscita a far riconoscere che la sua Susi era stata assassinata, mentre era incinta.
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«Tutto ciò avviene con la connivenza del potere, dell'apparato di Stato e fa capo a una rete molto ampia, motivo per il quale è difficile estirpare questi meccanismi. Le nostre ragazze e tutte le donne vittime vengono rinchiuse nei postriboli e in case private, che sono i campi di sterminio del XXI secolo» ha ancora denunciato Margarita alla stessa fonte di stampa.
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«Le fanno scomparire, le minacciano, le violentano, le drogano, le torturano. Poi riappaiono e in alcuni casi se le riprendono una seconda volta come forma di dimostrazione del proprio potere. Manipolando non solo le vittime ma anche chi le cerca» non si stanca di ripetere la “mamma coraggio” alla stampa argentina ed internazionale.
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In base alle informazioni raccolte durante anni di ricerche, la sua associazione ha appurato che una volta sequestrate le ragazze vengono portate in enormi capannoni gestiti da narcotrafficanti e proprietari dei bordelli, prima violentate sono poi vendute.
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Nei postriboli più piccoli operano almeno 10 ragazze costrette a ricevere fino a 20 clienti al giorno, con un guadagno totale di circa 6 mila euro ogni 24 ore. La tratta ai fini della prostituzione è il terzo commercio più lucroso al mondo dietro quello delle armi e della droga.
Ai bordelli i clienti arrivano grazie a quei famigerati bigliettini sparsi per le strade della capitale - sede secondo stime delle attiviste di un migliaio di postriboli - chiamando il numero segnato sui foglietti colorati oppure ricercandoli sui social, con alcune pagine Facebook dedicate.
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Ora Margarita e le altre Madres vi'ctimas de trata fanno sentire la loro voce al neo presidente Alberto Ferna'ndez, in carica dal 10 dicembre, per ottenere la chiusura dei postriboli e la fine della tratta.
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Oltre a questa sfida il capo dello Stato argentino deve far fronte al crescente numero di femminicidi e all'annosa questione dell'aborto, che in tante con i “fazzoletti verdi” vorrebbero vedere finalmente legalizzato per evitare altre stragi di ragazze e donne.
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