Rinaldo Frignani per il Corriere della Sera
Era il 4 aprile scorso quando Federico Leonardo Lucia, in arte Fedez, si è rivolto alla polizia postale di Milano per segnalare quello che numerose follower gli avevano scritto: ragazze disperate perché vittime di «revenge porn», con le loro foto sul web, alcune in pose ammiccanti ma palesemente scherzose, utilizzate invece per scopi sessuali su Telegram.
A loro insaputa. Da quel momento gli investigatori del capoluogo lombardo, insieme con quelli di Cagliari e Palermo, hanno cominciato a tracciare chi stava approfittando delle immagini, rubate a centinaia dalle piattaforme social.
Comprese quelle della giornalista Diletta Leotta, che non ha esitato a sporgere denuncia. Decisione «fondamentale» per chi indaga, perché ha fatto scattare le indagini anche per chi non aveva avuto il coraggio di portare a termine questo passo.
Gli agenti hanno così individuato a tempo di record tre personaggi che pensavano di rimanere anonimi, fra loro due amministratori di gruppi, un 35enne della provincia di Nuoro e un 17enne che abita vicino a Palermo, insieme con un 29enne di Bergamo.
Quest' ultimo, un ex agente di commercio ora disoccupato, dopo un menage con due ragazze che lo avevano poi lasciato, aveva deciso di vendicarsi di una di loro postando le sue foto private sul gruppo gestito proprio dall' amministratore sardo, rintracciato a casa, con il telefonino ancora in mano connesso a Telegram. I tre sono accusati di «revenge porn», sostituzione di persona, diffamazione e trattamento illecito di dati personali. Nessuno ha aperto bocca, soltanto l' ex agente di commercio si è mostrato più collaborativo degli altri, dopo che i poliziotti gli hanno sequestrato smartphone e computer.
Si calcola che i gruppi creati dai due amministratori - dai titoli volgari ed espliciti - abbiano danneggiato l' immagine di alcune decine di ragazze che, anche dopo un tweet di Fedez che confermava l' avvio dell' indagine, si sono già rivolte alla Postale in tutta Italia. Giovani che hanno scoperto le loro fotografie, rubate su Instagram e Facebook, estrapolate dal contesto nel quale erano state pubblicate e sfruttate per provocare le reazioni sessuali degli utenti collegati a quei gruppi.
In pratica stupri virtuali, perché quelle immagini venivano commentate con insulti e oscenità, nonché istigazioni alla pedopornografia e al femminicidio, rivolti alle giovani protagoniste. Il 17enne poi aveva già sfruttato il canale per guadagnare 5 mila euro, vendendo cataloghi di immagini a 2-3 euro l' una. Ora l' indagine punta a capire se ci siano stati davvero casi di pedopornografia, ma intanto il direttore della Divisione operativa della Postale Alessandra Belardini lancia un appello: «Mai condividere immagini intime sul web, nemmeno con i partner che oggi ci sono e domani chissà.
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Altrimenti proteggerle in memorie esterne, in cartelle crittografate. E comunque rivolgersi sempre al commissariato online (www.commissariatodips.it/segnalazioni/segnala-online/index.html)».
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