1 – CORONAVIRUS, CINA DONA 30 MILIONI DI DOLLARI ALL'OMS: LA MOSSA CHE RAFFORZA I DUBBI DI DONALD TRUMP
Una mossa un poco sospetta, quella della Cina, che pochi minuti fa ha annunciato la donazione di altri 30 milioni di dollari all'Organizzazione mondiale per la sanità. Una donazione per gli sforzi dell'Oms a sostegno della cooperazione internazionale nella lotta al coronavirus. La decisione è stata annunciata dal portavoce del ministero degli Esteri del Dragone, Geng Shuang, e segue la prima donazione di Pechino all'Oms, pari a 20 milioni di dollari. Un fiume di denari che arriva nelle casse dell'Organizzazione poco dopo lo stop ai fondi verso l'agenzia dell'Onu deciso da Donald Trump: gli Stati Uniti erano primi in termini di contribuzione all'Oms, ma Trump ha deciso di fermare le erogazioni accusando l'Oms di aver coperto le responsabilità della Cina per l'epidemia mondiale. Accusa, per inciso, mossa da più parti contro l'Oms, ed è per questo che il tempismo della donazione cinese fa sorgere qualche sospetto in più.
2 – LA SFIDA DAGLI USA ALL'AUSTRALIA WASHINGTON ACCUSA PECHINO "SEMINA PANICO CON LE BUGIE"
Federico Rampini per “la Repubblica”
Lo Stato del Missouri fa causa alla Cina per negligenza e menzogne sul coronavirus. Il ministero degli Interni americano denuncia una vasta operazione della propaganda di Pechino per diffondere il panico nella popolazione americana. Xi Jinping fa arrestare diversi militanti democratici a Hong Kong, mentre il dissidente Ai Weiwei avverte che «lo stato di polizia si sta rafforzando in Cina».
La tensione da guerra fredda tra le due superpotenze risale ai massimi. Si aggiunge l' elemento militare. Nel Mare della Cina meridionale si fronteggiano forze navali delle due superpotenze (per la US Navy la nave d' assalto anfibia America e l' incrociatore lanciamissili Bunker Hill), dopo episodi che hanno opposto le forze armate cinesi a navi dell' Australia e della Malesia.
La tensione coinvolge gli alleati. Il governo australiano si unisce al coro di quelli che chiedono un' inchiesta internazionale sulle responsabilità della Cina all' origine della pandemia; chiede anche un' inchiesta sul ruolo dell' Organizzazione mondiale della sanità (Oms). In Brasile il governo Bolsonaro è ai ferri corti con Pechino dopo scambi di accuse roventi.
L' iniziativa più clamorosa è quella del Missouri, Stato governato dai repubblicani. Vuole processare la Repubblica popolare e il partito comunista cinese, per chiedere i danni, in nome dei 230 cittadini morti di coronavirus in quella giurisdizione. Chiede anche risarcimenti per la crisi economica che impoverisce il Missouri.
Il ministro della Giustizia di quello Stato, Eric Schmitt, ha presentato la denuncia al tribunale federale del Missouri accusando le autorità cinesi di numerosi reati: «Hanno ingannato il pubblico, hanno nascosto informazioni cruciali, hanno arrestato testimoni scomodi, hanno negato il contagio, hanno distrutto ricerche mediche, hanno consentito che milioni di persone fossero infettate, hanno accaparrato attrezzature mediche, hanno causato una pandemia globale che poteva essere prevenuta».
L' iniziativa giudiziaria è clamorosa ma ha scarse probabilità di successo, perché uno Stato straniero è protetto dall' immunità sovrana. Si ricorda un precedente importante, i familiari di vittime dell' 11 settembre tentarono di ottenere giustizia dall' Arabia saudita per il suo ruolo a sostegno di Osama Bin Laden, ma vennero sistematicamente ostacolati dal governo federale, sia durante l' Amministrazione Bush che in quelle successive. In quanto alle richieste di un' indagine internazionale sulle responsabilità della Cina, a cui si è unita l' Australia, se avanzate in sede Onu verrebbero bloccate dallo stesso governo di Pechino che ha un seggio permanente al Consiglio di sicurezza con diritto di veto. L' influenza cinese è aumentata molto in tutte le organizzazioni internazionali, e questo è proprio uno degli argomenti di chi denuncia il comportamento dell' Oms per servilismo o complicità verso Xi Jinping.
Su un altro fronte caldo dei rapporti Washington-Pechino è il Dipartimento di Homeland Security (superministero dell' Interno che ha competenze anche sull' antiterrorismo) a rivelare che a marzo la Cina inondò gli americani con milioni di messaggi - sms o fake news sui social - per seminare il panico su un' imminente chiusura totale del paese, e l' uso delle forze armate per presidiare tutte le città Usa onde evitare disordini e saccheggi. Una sorta di prova generale per una nuova escalation nelle guerre della propaganda, disinformazione, inquinamento politico e psicologico dell' opinione pubblica in campo avverso.
Xi Jinping non sembra impressionato da attacchi e denunce. A colpire l' opinione pubblica americana arriva infatti la notizia degli ultimi arresti a Hong Kong. Quasi che il leader cinese si senta più libero che mai di regolare i conti con gli avversari, nella città ribelle la polizia ha fermato e incarcerato una dozzina di attivisti democratici. Tra gli arrestati figura anche un noto politico locale, Martin Lee, fondatore del partito democratico di Hong Kong.
Di fronte alla critiche internazionali il governo di Pechino ha affermato «il proprio diritto di mantenere l' ordine costituzionale a Hong Kong», sottolineando così che non si farà condizionare dallo statuto autonomo dell' isola ex colonia britannica.
La questione cinese è destinata ad assumere un' importanza crescente anche nella campagna elettorale americana. Sia Trump che Joe Biden fanno a gara nell' accusare l' avversario di cedimenti e debolezze verso Pechino.