Estratto dell’articolo di Federico Rampini per il “Corriere della Sera”
È l’audizione parlamentare più vista nella storia: in pochi giorni un miliardo di volte, e non solo in America. È l’interrogazione delle tre presidenti di università di élite — Harvard, MIT, University of Pennsylvania — sull’antisemitismo dilagante nei loro campus dopo il 7 ottobre, e la tolleranza da parte delle autorità accademiche.
Definita «un disastro di relazioni pubbliche» anche da una commentatrice favorevole alle tre leader come Michelle Goldberg del New York Times , quella sessione della Camera ha già portato alle dimissioni di una delle protagoniste: Elizabeth Magill, della University of Pennsylvania. Alla domanda se nel suo campus sia legittimo invocare il genocidio degli ebrei, ha risposto che «dipende dal contesto».
Quella e altre affermazioni dello stesso tenore sono suonate come conferme che i vertici degli atenei non hanno fatto nulla per frenare aggressioni verbali e fisiche contro gli studenti ebrei, in un clima in cui la strage di Hamas e il conflitto di Gaza hanno visto divampare l’ostilità contro gli studenti ebrei nei campus.
Ma il giorno dopo le dimissioni della Magill è partita una vasta campagna in sua difesa.
La stessa Goldberg equipara l’audizione parlamentare alle famigerate indagini del maccartismo negli anni Cinquanta, la «caccia alle streghe» che bersagliò i comunisti o presunti tali. Altri denunciano le pressioni dal mondo dei mecenati: finanzieri miliardari come Ross Stevens, Bill Ackman e Jon Huntsman, sono fra quelli che hanno minacciato di revocare donazioni di centinaia di milioni alle università che tollerano l’antisemitismo.
La contro-reazione in difesa delle tre presidenti, e di tante altre università dove si respira la stessa atmosfera, invoca il Primo Emendamento della Costituzione che tutela la libertà di espressione. Altri però osservano che le università americane hanno smesso da tempo di difendere la libertà di espressione, anzi la limitano severamente ogniqualvolta si dichiarino offese delle minoranze diverse dagli ebrei: per esempio gli afroamericani o i transgender.
La censura ha colpito sistematicamente professori accusati di non essere allineati con le frange radicali. La presidente della commissione parlamentare, Elise Stefanik, ha ricordato che la filosofa femminista Devin Buckley si vide cancellare una conferenza a Harvard (tema: il romanticismo britannico) per aver osato sfidare alcuni dogmi transgender. È andata peggio alla biologa Carole Hooven, come ricorda Bret Stephens sul New York Times : allontanata dal suo incarico a Harvard per avere sostenuto che esistono differenze biologiche tra maschio e femmina.
Il MIT ha proibito una conferenza del geofisico Dorian Abbot perché aveva criticato alcuni privilegi offerti alle minoranze protette nelle università. Yale aveva tolto dei corsi alla giurista Amy Chua, colpevole di aver appoggiato la nomina di un giudice conservatore alla Corte suprema. L’elenco delle censure e misure disciplinari si arricchisce da anni. Il Primo Emendamento è stata l’ultima delle preoccupazioni, in quei casi.
[…] La studiosa Heather Mac Donald del Manhattan Institute punta il dito sui programmi chiamati Diversity, Equity, Inclusion (Dei) e le burocrazie che li applicano. I comitati Dei sono delle potenze nel mondo accademico […] perché hanno l’appoggio di leggi e regolamenti governativi. Nel nome della diversità etnica e sessuale, e dell’inclusione di gruppi definiti come «vittime di oppressione» o marginalizzati, hanno imposto un elaborato sistema di tutele per questi gruppi, con l’esclusione di coloro che sono catalogati come privilegiati o peggio, oppressori. Tra questi ultimi ci sono i bianchi ma anche gli asiatici, presi di mira per il loro formidabile successo accademico e professionale (cinesi e indiani hanno voti e stipendi superiori alla media americana). […]