Estratto dell’articolo di Mara Gergolet per www.corriere.it
Era la bambina rifugiata che aveva conquistato i tedeschi, la piccola Reem. Era palestinese, arrivata dal Libano quattro anni prima, e l’avevano scelta per parlare con la cancelliera Merkel in un incontro in una scuola. Si esprimeva in un buonissimo tedesco, aveva spiegato che il papà era senza lavoro perché non gli veniva prolungato il soggiorno dopo 4 anni. E la cancelliera aveva risposto:
«Le procedure vanno cambiate, non si può aspettare così a lungo». Ma ha anche aggiunto: «Non tutti potranno restare». E la quattordicenne Reem — di fronte all’ipotesi che la sua famiglia sarebbe potuta essere espulsa, la sua vita in Germania conclusa — è scoppiata a piangere, costringendo una sorpresa Merkel ad avvicinarsi («Ah, komm», dai suvvia) e a consolarla.
È un video che — nel 2015 — abbiamo visto tutti, è girato non solo in Germania ma è diventato globalmente virale. Tantissimi avevano simpatizzato con la piccola profuga, diventata con le sue lacrime improvvise il simbolo dei tanti che erano venuti.
Ora Reem ha 22 anni, ha ottenuto la cittadinanza tedesca, e ha appena pubblicato su Instagram un post in cui dice #freepalestine #fromtherivertothesea. Non solo, ma per essere più chiara ha aggiunto una mappa della Palestina originaria: quella che non prevede i confini di Israele.
La notizia è stata trovale del sito di notizie online Nius, uno dei nuovi media tedeschi che si definisce «la voce della maggioranza», ossia l’espressione di nuovi sentimenti e interessi più populisti e di destra, finanziato dal magnate Frank Gotthardt. Ma presto è rimbalzato un po’ ovunque, fino a pagina 3 della Bild.
Non ci può essere ingenuità su quel che Reem ha postato, perché non c’è ambiguità in Germania su cosa vuol dire #fromtherivertothesea, cioè la negazione e la cancellazione dello Stato d’Israele. Il calciatore El Ghazi, del Mainz, squadra fondata dagli ebrei, è stato cacciato, il contratto terminato, per aver pubblicato lo stesso slogan. […]
Ma più in generale, la bambina che era il volto dei profughi, rischia di trasformarsi in un simbolo della loro difficile, o per certi versi, quasi impossibile integrazione. Chi è venuto negli anni di Angela Merkel, e con la grande ondata del 2015-2016 (ma anche già prima), porta spesso con sé dal Medio Oriente una storia di pregiudizi e un’educazione profondamente antisraeliana, spesso antisemita.
Non si tratta di singoli: quasi due milioni di rifugiati neoarrivati (a cui si aggiungono 4 milioni di origine turca, più secolarizzati) hanno riprodotto in Germania le loro comunità, che ignorano la storia nazista e il vincolo profondo che lega questo Paese a Israele. Non (ri)conoscono la responsabilità — e la vergogna — che i tedeschi provano nei confronti del popolo ebraico, e spesso non hanno nessun interesse a condividere o a capire questa peculiare rielaborazione e condanna del proprio passato. […]