Michela Proietti per il “Corriere della Sera”
«A volte sono stata cattiva e me ne sono pentita». Penna raffinata, colta, implacabile: un sì o un no di Lina Sotis sul Corriere della Sera sono stati spesso una promozione sul campo o una sentenza di morte (almeno civile). «Un signore ansioso di essere conosciuto in città si fece scrivere dieci righe da me: alla fine chiusi con la frase "ma in fondo, chi è questo qui?"».
Per essere un «milanese» bisognava dimostrare di saper fare, più che di avere. Come Gae Aulenti, «che anche quando non era nessuno era una protagonista, perché aveva curiosità». O proprio come lei, Lina Sotis, giornalista e scrittrice, nata nel 1944 a Roma e diventata la regina di Milano, «armata solo di grande pazienza, qualità senza la quale non avrei potuto cambiare tante vite: prima orfana di mamma, poi snob della Roma bene, moglie dell'industriale e infine prima cronista donna del Corriere».
Inventrice delle note di costume, teorica del bon ton, le sue Bagatelle (il nome lo inventò per lei il mentore Roberto Calasso) facevano tremare i polsi ai milanesi. «Il successo fu immediato: tutti volevano esserci, il direttore di allora Franco Di Bella mi diceva: Lina, mettici più nomi possibili. E io rispondevo: "No direttore, al massimo tre, quelli che ci sono devono sentirsi i prescelti"».
Più che note di stile, delle regole, diventate poi un libro di fenomenale successo, «Bon Ton», caldeggiato da Giuseppe Turani e scoraggiato da Eugenio Scalfari («non avrai mai successo, andiamo verso tempi in cui le etichette non contano»). Un nome che arrivava dal collegio, quando la contessa Palmieri insegnava a Lina Sotis proprio il «bon ton». «Ho trascorso la mia infanzia nei collegi: mia mamma è morta dandomi alla luce, sono la terza di tre sorelle, Donatella e Viviana, figlie di Gino Sotis, l'avvocato rotale per eccellenza che riuscì a cancellare le nozze di Claretta Petacci».
Che tipo di famiglia era la sua?
LINA SOTIS - GIAN MARCO MORATTI - ANGELO MORATTI - MASSIMO MORATTI
«Borghesi illuminati. Mio nonno Emilio Storoni aveva fondato con Malagodi il Partito Liberale. Mio padre si risposò con Maria Bassino, avvocato penalista lesbica. Avevo 13 anni e lei mi insegnò cosa era il Pci e il mondo gay».
Il collegio era la seconda casa.
«Al Mary Mount scoprirono che la borghese Sotis aveva più portamento di Cunegonda Patrizi. Poi a Cortina, dalle Orsoline, conobbi il mio futuro marito, Gian Marco Moratti».
Anche lui in collegio?
«No, era in vacanza e aveva 8 anni più di me. La cosa più folle per lui e i suoi amici era conoscere le ragazze delle Orsoline: venivano una volta a settimana in collegio dove si facevano dei balletti, sorvegliati dalle suore».
LINA SOTIS CON I FIGLI ANGELO E FRANCESCA MORATTI
Un colpo di fulmine?
«Sì, mi diceva che avevo delle belle mani. Quando tornai a Roma mi telefonava da Milano, anche due volte al giorno. Arrivavano queste interurbane annunciate dalla cameriera. Ci siamo conosciuti nel 1960, sposati nel 1962».
Un ottimo partito.
«All'epoca non c'era questa fascinazione per Milano e sposare un industriale del Nord non era un punto di vantaggio. Non avevamo capito il miracolo a Milano, noi vivevamo quello romano, fatto di principi. Milano era vista come un posto orrendo».
Si è sposata incinta di Angelo.
«Un disonore. Andammo dallo zio, il mio tutore, a chiedere il permesso per sposarci: "Ci pensi bene, avete avuto una educazione diversa", disse lo zio. Intervenni: "Sono incinta". Ci sposammo in San Pietro e Paolo».
LINA SOTIS FIRMA COPIE DEI SUOI LIBRI
I suoi suoceri come l'accolsero?
«Benissimo. Suo padre era un signore straordinario che aveva verso di me un'aria protettiva. Piacqui anche alla madre, che però mi domandò: "Ma perché cammini così dritta?". Ero arrivata con tre pellicce, dote delle ragazze bene: un visone, un castorino e un Breitschwanz. Mia suocera disse: "Questo visone è piccolo"».
La vita da signora Moratti.
«Mi chiesero di chiamarli mamma e papà. Mi sono vestita per 5 anni di nero e di azzurro e con l'Inter abbiamo vinto tutto. Dopo Angelo arrivò Francesca. Poi mi innamorai di un playboy e fui cacciata di casa. I miei suoceri volevano che accettassi denaro da loro ma non lo feci: era il mio modo per dirgli che li amavo».
E si è messa a lavorare.
«Andai a Vogue, dove volevo firmare con il mio cognome, perché è solo con il proprio che si fa fortuna. Poi chiesi a Giulia Maria Crespi: "Aiutami a trovare un impiego per diventare giornalista professionista"».
Il «Corriere della Sera».
«Angelo Rizzoli comperò il Corriere , gli dissi: "Angelo vorrei scrivere in un quotidiano". E lui: "Certo, però te lo devi meritare. Che ne dici di lavorare alle 6 al Corriere d'Informazione , il giornale del mattino?". Risposi: "Dico che non potremo andare a ballare la sera. Accetto"».
Come cambiò la sua vita?
«Ero agli Spettacoli, era l'epoca in cui nasceva il Piccolo Teatro, Paolo Grassi mi chiamava la Caval(Lina) imbizzarrita. Arrivò un ragazzo in redazione. "Sono Lina e tu? ". "Ferruccio"».
Ferruccio de Bortoli.
«Aveva 8 anni meno di me e un'aria vispa. Pranzavamo da Oreste anche se non avevamo una lira. Poi il Corinf chiuse e il direttore ci volle al Corriere . Mi sentivo baciata da Dio».
La prima donna cronista al «Corriere».
«Andai a fare salti di gioia da Giulia Maria e lei disse: "Ti hanno preso perché sei brava"».
Il suo ex marito non l'ha mai aiutata?
«Nel lavoro no, lo fece quando mi ammalai. A 34 anni, siccome avevo poco cervello e ne avevo usato troppo, mi venne un tumore alla testa. Mi diedero per spacciata, Gian Marco mi portò a Roma con un volo privato e venni operata da un luminare. Mi salvai, ma tornai al lavoro senza campo visivo. I ragazzi della cronaca mi aiutavano: Biancaneve con 24 nani».
E sono nate le fulminanti 10 righe di Lina.
«Le milanesi le accettavano perché ero come loro: anche a Roma una certa società non si levava mai le calze».
La più affascinante della città?
«Gioia Falck, di una generosità esplosiva: mi ha dato un tetto quando mi sono separata. Poi Silvia Tofanelli: Goffredo Parise diceva che nessun uomo le poteva resistere».
Un simbolo della Prima della Scala.
«La veletta nera di Wally Toscanini. Ma la più bella non era mai milanese: spesso era qualche attrice che arrivava da fuori, con un volo privato e un abito imprestato».
Era la Milano di Craxi.
LINA SOTIS FRANCESCA COLOMBO INAUGURAZIONE MITO ALLA SCALA FOTO FRANCO CORTELLINO
«All'inizio lui e Anna erano un poco snobbati. Facevano di domenica delle cene a cui partecipavamo tutti, però senza scapicollarci. Ma lui era un politico sopraffino».
L'uomo più elegante?
«Guido Venosta, dirigente alla Pirelli e presidente dell'Airc e anche del Clubino: era tradizionale ma chic. Indossava il rosso scuro».
Tra i politici?
«Pannella era mica male, esagerato. Ora direi Mario Monti e Mario Draghi, ma anche Enrico Letta, che ha quel nonsoché da Sorbona».
Uno stiloso di oggi.
«Ci sono tanti casual sopportabili, di elegante nessuno, a parte Carlo Mazzoni, che sa persino stare ben seduto in Chiesa».
Una donna chic.
«Cecilia Pirelli, semplice e indossa bene il bianco. O Camilla Baresani: una brava scrittrice che non lo fa pesare. Milano è troppo piena di fighette: tacchi alti, gonna corta e sguardo sfrontato. Non è così che si prendono i soldi dei pochi uomini rimasti. Perché non vestire di nuovo da collegiali?».
LINA SOTIS INAUGURAZIONE MITO ALLA SCALA FOTO FRANCO CORTELLINO
Le milanesi vere e quelle acquisite.
«Milano è inclusiva e premia chi merita: Marva Griffin è la regina del design con il Fuorisalone. Invece un'altra non milanese, con la pelle scura, ex ben sposata, poteva avere il mondo ai suoi piedi, ma ha deluso tutti...».
Letizia Moratti, seconda moglie del suo ex marito. Ne è stata gelosa?
«Molto! Però sono madrina di suo figlio Gabriele e le sono vicinissima. Ci siamo scambiate mille gesti di amicizia, anche da poco».
Quando è stata eletta sindaca di Milano si è sentita sorpassata?
«No, poteva fare comodo anche a me».
I suoi figli Angelo e Francesca.
«Angelo è protettivo, è un qualcosa in più. Lavora per Warren Buffett, ha due bambini con Nadia e una ex moglie meravigliosa, Roberta. Francesca è straordinaria: somiglia al padre».
Gli uomini più seducenti.
«Francesco Saverio Borrelli, da farci due pensierini: ma era quel genere di uomo che voleva sudditanza. O Franco Angeli, bello e buono: mi disegnò un cuore per la mia collezione. Riccardo Muti? Troppo piacione».
Il suo secondo marito, Marco Romano?
«Un uomo coltissimo, un buon marito che ora non sta bene. L'ho conosciuto a 48 anni».
E poi suo cognato, Massimo Moratti.
«Mi manda sempre l'uovo a Pasqua. Da giovane sembrava Celentano: è spiritoso».
Il salotto più ambito di Milano?
«Oggi non saprei: prima piacevano le donne e i soldi, più ce n'erano, meglio era».
Il mix perfetto per un salotto ben riuscito.
«Non deve mai mancare un gay, una bella donna, una donna intelligente anche se bruttissima, una così così che s' accontenta di tutto e sa solo ascoltare. Poi una volgarità da guardare, meglio maschile che femminile, perché ti dà un'ebbrezza momentanea e puoi sempre parlarne male».
Il salotto sbagliato.
«Quello di soli borghesi, di soli intellettuali, di soli gay. Bisogna mischiare, sempre».
Una cosa cafona non più perdonabile?
«Chi ti dice "cara" e non ti conosce, come nei pronti soccorsi americani : "dear"...».
Qual è il bon ton oggi?
«Sorridere, non usare i monopattini, chiedere scusa se suona il cellulare a tavola».
Lei aiuta gli altri con Quartieri Tranquilli.
«Mio figlio mi ha detto: "Devi guadagnarti la pensione". Prima del Covid distribuivamo 4.500 quintali di cibo dove serviva».
La vecchiaia.
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«Sono stata giovane così a lungo che avere dei capelli bianchi in testa mi fa allegria».
Milano le piace ancora?
«Sì, ma non ci sono più elefanti con le zanne, i bracconieri li hanno fatti fuori. È un mondo senza zanne, irriconoscibile, ma facendo del bene le faremo ricrescere».
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