Emilio Randacio per “la Repubblica”
Nella primavera del 2010 fui convocato nell' abitazione di Paolo Scaroni. È una delle prime affermazioni che l' amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, mette a verbale nel giugno scorso. Davanti, il supermanager del Cane a sei zampe, in una caserma della Guardia di finanza di Milano, ha i pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro. Descalzi, poche settimane prima, aveva ricevuto un invito a comparire in cui gli veniva contestata l'accusa di concorso in corruzione internazionale.
Descalzi cerca di ridimensionare il suo ruolo. In quell' occasione - spiega nel verbale di dodici pagine depositato la scorsa settimana dalla procura nella chiusura indagini - mi venne presentato dall' amministratore delegato Scaroni Luigi Bisignani, prosegue. E secondo questo racconto, in quella circostanza Scaroni chiede a Descalzi - dal 2008 direttore generale della Divisione Exploration e Production di Eni - di fare riferimento a Bisignani e al cittadino nigeriano Zubelum Obi, per portare a casa l' appalto per ottenere la licenza del giacimento off shore OPL245 nel mare dello Stato africano.
In quell' incontro Bisigani si presenta a Descalzi ricordando la sua vicinanza a Giulio Andreotti negli anni passati, e a Gianni Letta, più recentemente, dopo che - stando a questo racconto - lo stesso Scaroni avrebbe tessuto le lodi del faccendiere, già coinvolto in Mani pulite prima (due anni e mezzo per la tangente Enimont) e poi in diverse inchieste, da ultimo nella cosiddetta P4, una sorta di loggia scoperta nel 2011 dalla procura di Roma, capace di condizionare decisioni politiche e anche sentenze.
estrazione di petrolio nel delta del niger in nigeria
Quello dell'OPL245 è un affare capace di produrre 9 miliardi di barili di petrolio, secondo le stime. Da indagato, l'attuale numero uno di Eni imputa al suo ex capo Scaroni l' iniziativa di pagare provvigioni - per la procura milanese in realtà tangenti - a uomini del governo africano, a partire dall' allora presidente Jonathan Goodluck e a diversi suoi ministri.
Parte della tangente senza precedenti - per l' accusa sono stati versati un miliardo e 92 milioni di euro per ottenere il via libera al giacimento - sarebbe stata poi fatta arrivare a uomini Eni e mediatori, proprio come Bisignani. In totale sono undici le persone per cui la procura ha chiuso l'inchiesta. I principali indagati, ovviamente, sono Scaroni e Descalzi.
L' ad di Eni, a verbale, non nega l' operazione, ma nega di esserne stato l' artefice e di averne conosciuto i dettagli, definendoli inopportuni. Anzi. Quando sente parlare di provvigioni da pagare estero su estero, si dice sicuro che le avrebbe denunciate. Come a distinguere le posizioni e a chiarire che tutto appartiene alla gestione precedente, quella Scaroni.
I pm, nel corso dell' interrogatorio, però, contestano l' intercettazione di una telefonata fatta da Bisignani a Descalzi, il quale si dichiara a disposizione per portare avanti l' affare in Nigeria. E l' indagato si difende sostenendo di aver solo seguito le indicazioni di chi, in quel 2010, era il suo superiore diretto, ovvero Paolo Scaroni.
La versione difensiva dell'attuale numero uno Eni non convince i pm, che in piena estate lo mettono a confronto con Vincenzo Armanna, ex senior advisor di Eni in Nigeria, e principale accusatore dei manager Eni attuali e passati.
dan etete ex ministro del petrolio nigeriano
Armanna ricorda gli incontri in Nigeria con i ministri locali, a cui ha partecipato, e soprattutto uno in cui era presente anche Descalzi, che passaporto alla mano, nega di aver incontrato in quel periodo il presidente nigeriano. La difesa dell' attuale numero uno Eni, l'avvocato Paola Severino, ha annunciato l' intenzione di depositare una memoria entro i prossimi venti giorni, per dimostrare l' innocenza del proprio assistito ed evitare una possibile richiesta di rinvio a giudizio.