IL VERO MOTIVO PER CUI NON SI ANDRA’ A ELEZIONI ANTICIPATE? QUASI 3 PARLAMENTARI SU 4 SONO NEOELETTI E QUINDI PERDEREBBERO LA PENSIONE SE LE CAMERE VENISSERO SCIOLTE PRIMA DI SETTEMBRE 2022 - LA LEGA IL PARTITO CON PIÙ MATRICOLE: IL 92%. E FRATELLI D’ITALIA CONTA 20 NEOELETTI SU 21 AL SENATO

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Diodato Pirone per "il Messaggero"

 

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La scelta del nuovo inquilino al Quirinale sarà determinata, ovviamente, dalla combinazione di molti fattori politici. Ma si incrocerà anche con un dato esistenziale che non va sottovalutato: quasi tre parlamentari su quattro sono neo-eletti e quindi perderebbero non solo il lauto stipendio ma anche la pensione se l'elezione del Capo dello Stato determinasse lo scioglimento delle Camere e elezioni anticipate nella primavera del 2022. Stiamo parlando di ben 690 Grandi Elettori sui 1007 totali che a febbraio sceglieranno il nuovo Presidente. Come detto, tre parlamentari su quattro.

 

I neo-eletti sono infatti 446 fra i deputati (sui 630 totali) e 244 senatori (su 315) tutti entrati per la prima volta in Parlamento a marzo del 2018. Gran parte di loro vengono da occupazioni di profilo medio-basso e con retribuzioni assai più modeste rispetto a quelle garantite dalle indennità parlamentari, anche se va detto che in molti casi una quota di questi soldi viene girata ai partiti di appartenenza.

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IL PESO Ma quanto peserà il fattore pensione sulla compattezza del voto deciso dai partiti? Com' è noto i gruppi parlamentari sono già molto sfilacciati. Circa 100 parlamentari fanno riferimento a formazioni minori e al Gruppo Misto, nel quale spiccano una trentina di cani sciolti che non fanno più riferimento a nessuno.

 

 I leader nazionali poi da tempo fanno fatica a controllare i loro parlamentari in votazioni molto meno importanti di quelle per il Quirinale. I neo-eletti sono numerosissimi in tutti i gruppi ma, a sorpresa, quello che ne conta di più in assoluto - e che potrebbe soffrirene di più - è la Lega di Matteo Salvini che registra 123 neo-deputati sui 133 iscritti alla Camera (92% del totale) e 57 su 64 al Senato (89%). I 5Stelle oscillano fra il 70% di parlamentari alla prima esperienza alla Camera e l'82% al Senato mentre il Pd (che nel 2018 perse moltissimi onorevoli) ha una percentuale di neo-eletti del 45% a Montecitorio e del 66% a Palazzo Madama.

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Anche Fratelli d'Italia ha moltissimi neo-eletti: 33 su 37 alla Camera e ben 20 su 21 al Senato. Per ora dunque solo una cosa è certa nella corsa al Quirinale: il futuro previdenziale della grandissima maggioranza dei parlamentari è a rischio. Per i 690 peones la catastrofe si materializzerebbe se si votasse prima del 24 settembre 2022, ovvero prima dei 4 anni, sei mesi e un giorno che automaticamente garantiscono la rendita previdenziale ai parlamentari.

 

Per capire come stanno le cose occorre fissare un paletto. Dal primo gennaio 2012 non esistono più i vitalizi. Da quella data (quella dell'entrata in vigore della legge Fornero) ai parlamentari in carica viene assegnata una pensione sulla base dei contributi versati purché per almeno 4 anni e mezzo. L'assegno (di circa 1.500 euro mensili) scatta a partire dai 65 anni di età o da 60 anni se si viene eletti per due o più legislature.

 

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C'è un altro dettaglio importante: se la legislatura si interrompe il parlamentare vede sfumare anche i contributi versati che - poiché la retribuzione è alta - dopo quattro anni e passa ammontano a 50.000 euro. Insomma, dietro la grande partita del Quirinale se ne gioca una molto più piccina che spinge i 690 neoeletti a tener conto del proprio particolare. La domanda è: quanti peones si trasformeranno in franchi tiratori decisi a barricarsi dietro la propria poltrona fino alla fine della legislatura nel 2023?

 

Una questione chiave che piove su una partita delicatissima dove molti stanno già tirando la giacca a Mario Draghi. Ma da ciò che filtra da chi è a stretto contatto con il presidente del Consiglio, si sa che non muoverà un dito. Resterà immobile.

 

Non dirà, né sono disponibile a fare il capo dello Stato. Né tantomeno dirà no grazie. Insomma, il più accreditato successore di Sergio Mattarella ha scelto una strategia attendista nella grande scacchiera del Quirinale.

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