Giampiero Mughini per Dagospia
Caro Dago, ti confesso che per motivi generazionali ho una gran difficoltà a maneggiare il ricordo di Che Guevara e dunque il giudizio storico-politico su di lui, da quanto la sua immagine è stato un feticcio iconico della mia generazione. Da vivo ma anche da morto, stante la sua dignità e il suo coraggio innanzi a quelli che lo stavano assassinando. Non rinnego l’immagine che misi sulla copertina del numero 18 (inverno/primavera 1968) di “Giovane critica”, la rivista che si prese tutti interi i miei vent’anni. Era un disegno che raffigurava il “Che” e sotto il quale stava la seguente didascalia: “Yo les confieso che nunca me sentí extranjero. Ni en Cuba ni en cualquiera de todos los países que he recorrido, ho tenido una vida un poco aventurera”.
Ora, ovvio che le colpe dei figli non ricadono sui padri. Certo che fa impressione la sequenza di idiozie che Aleida Guevara, la maggiore dei quattro figli del “Che” , ha pronunciato nel rispondere alle domande di Filippo Femia nell’intervista che pubblica oggi “La Stampa” alla pagina 17. Idiozie al limite della caricatura.
Il bravo Femia le chiede che cosa ne penserebbe Guevara della Cuba di oggi e lei risponde esattamente così: “Non capirebbe mai le aperture al settore privato. Storcerebbe il naso vedendo i lavoratori autonomi. Li considererebbe un piccolo cancro nella società. Quando inizi a pensare alle tue tasche, lì cominciato i problemi per il popolo”. Ora va bene che da ministro dell’economia Guevara era stato di un assoluto fanatismo statalista e comunisteggiante, ma ne è passata di acqua sotto i ponti in oltre mezzo secolo perché noi si resti impassibili ad ascoltare tali puttanate.
il cadavere di ernesto che fuevara esibito a vallegrande in bolivia
E ancora. Femia chiede “Come giudica gli arresti dei dissidenti a Cuba?”. E la figlia di Guevara, prontissima: “Se rispetti il popolo cubano, nessuno ti tocca, Ma se ricevi soldi dall’estero per destabilizzare il Paese, allora vai in carcere. Prigionieri politici? A Cuba non esistono”.
Ma c’è una domanda ancora più drammatica. Pare che un’associazione di Rosario, la città argentina che ha dato i natali a Guevara e a Lionel Messi, vuole che si abbatta la statua di Guevara in città, e questo perché si tratta di un assassino lampante e riconosciuto. Femia chiede alla figlia che cosa ne pensi, ed è ovvio che si tratta una domanda cui è spaventoso rispondere da parte di una figlia. Lei risponde come può: “Mio padre era un guerrigliero, non un santo. Ha imbracciato le armi e lottato per un mondo migliore. Altrimenti la guerriglia a cosa serve? Quando in Italia si canta ‘Bella ciao’, non è forse un inno ai guerriglieri che vi liberarono dal fascismo?”.
l agente della cia felix rodriguez con ernesto che guevara dopo la cattura
Premesso che in punta di fatto il fascismo non venne sconfitto da poche migliaia di guerriglieri annidati nelle montagne e bensì dai bombardamenti alleati che distruggevano città italiane, dai carri armati angloamericani che irruppero sulla pianura padana dopo un inverno di stallo, dai soldati polacchi che per primi conquistarono l’abbazia di Monte Cassino.
Premesso tutto questo, che Guevara sia stato un guerrigliero eroico a Cuba (laddove è stato un guerrigliero farneticante in una Bolivia in cui nessuno si accorse di lui salvo quelli che lo assassinarono), non v’ha dubbio. Che da ministro del governo comunista di Fidel Castro sia stato anche un assassino politico, io al momento non so rispondere. Vorrei leggere le carte che sono state proposte da quelli di Rosario che intendono buttar giù la statua. Vorrei tanto leggerle. Non che questo mi farebbe arrivare a scorticare Guevara dal pantheon della mia giovinezza. Questo no. Uno non può fare della propria giovinezza qualcosa di diverso da quello che è stata.
ERNESTO CHE GUEVARA CON LA MOGLIE E I FIGLI CAMILO E ALEIDA
2 - ALEIDA GUEVARA LA PRIMOGENITA DEL COMANDANTE: "SE CHE GUEVARA FOSSE VIVO OGGI LOTTEREBBE PER L'AMBIENTE"
Filippo Femia per “la Stampa”
«Cambiano gli uomini, ma gli ideali della Revolución sono eterni». Aleida Guevara risponde al telefono dal Centro Studi, a L' Avana, intitolato al padre. L' ufficio dove è seduta ospitava la camera da letto dei genitori, Ernesto Guevara e Aleida March. Lei è la maggiore dei quattro figli della coppia.
Nata un anno dopo la conquista del potere dei barbudos, quando il guerrigliero argentino è stato assassinato in Bolivia aveva sei anni. Medico come il padre (è specialista in allergologia pediatrica), difende l' ultima roccaforte socialista al mondo: «Per Cuba siamo tutti pronti a batterci: forse verrei assegnata alle retrovie, ma con il fucile ho ancora un' ottima mira».
Signora Guevara, l' ultimo dei Castro è andato in pensione. Cosa cambia?
«Nulla, è un cambio nel segno della continuità. Disgraziatamente gli uomini non sono eterni, ma gli ideali restano. Il presidente e segretario del partito Díaz-Canel è cresciuto e si è formato nella rivoluzione».
Come vede Cuba tra 10 anni?
«Spero che l' embargo non ci sarà più, ma non dipende da noi. L' unica certezza è che Cuba nel 2030 sarà indipendente, libera e sovrana. Ma anche nel 2040 e nel 2050».
L' isola sta attraversando la peggior crisi dal "período especial". Biden alla Casa Bianca può favorire il disgelo tra Cuba e Usa?
«È quello che tutti speriamo. Non vogliamo più che a 90 miglia dalle nostre coste ci sia un nemico come gli Stati Uniti. Ci piacerebbe che, a dispetto delle idee differenti, ci fosse rispetto. Speriamo che Biden elimini l' embargo: è una guerra criminale. Se non lo vivi, non puoi capirne neanche lontanamente l' impatto».
Provi con un esempio.
«Prendiamo qualcosa di attuale: la sanità. L' embargo ci impedisce di acquistare strumentazioni all' avanguardia o alcune medicine. Se un' azienda farmaceutica italiana vuole venderci un farmaco, Washington può decidere per ritorsione che non sarà venduto negli Usa. A volte compriamo medicine a prezzi esorbitanti perché per eludere le sanzioni passano da quattro o cinque intermediari».
Cuba sta sviluppando il suo vaccino, cosa pensa delle aziende farmaceutiche che si oppongono alla liberalizzazione dei brevetti?
«Una scelta criminale. La vita degli esseri umani è diventata una merce: non si possono fare affari con la disperazione e il dolore umano. Mio padre diceva: "Meglio la vita di un bambino che tutto l' oro dell' uomo più ricco del mondo"».
Se fosse vivo, come giudicherebbe la Cuba di oggi?
«Non capirebbe mai le aperture al settore privato. Storcerebbe il naso vedendo i "cuentapropistas" (lavoratori autonomi, ndr). Li considererebbe un piccolo cancro nella società: quando inizi a pensare alle tue tasche, lì cominciano i problemi per il popolo».
Una battaglia che oggi combatterebbe?
«Sicuramente quella ecologica. Sessant' anni fa, nei suoi scritti, affrontava il tema della difesa della natura: sono certa che alzerebbe la voce contro le imprese che stanno distruggendo il pianeta. L' altro fronte sarebbe quello contro le disuguaglianze del mondo, che la pandemia ha acuito».
Nel 2017 un' associazione di Rosario, città natale di suo padre, ha proposto di abbattere la sua statua sostenendo che omaggia un assassino. Cosa ne pensa?
«Sarebbe triste, perché quella statua è stata realizzata con oggetti di bronzo donato dai cittadini. Ma è, appunto, solo una statua: buttandola giù non si cancellerebbe l' immagine del Che, già interiorizzata da milioni di persone».
E quell' accusa di essere un assassino?
«Il nemico proverà sempre a togliere i meriti a un uomo che evidentemente fa paura anche da morto. Mio padre era un guerrigliero, non un santo. Ha imbracciato le armi e lottato per un mondo migliore. Altrimenti la guerriglia a cosa serve? Quando in Italia si canta "Bella Ciao" non è forse un inno ai guerriglieri che vi liberarono dal fascismo? Mio padre amava la vita, per questo scelse la lotta armata. Se non l' avesse fatto, oggi Cuba non sarebbe un Paese libero».
Le ha insegnato a lottare contro le ingiustizie. Come giudica gli arresti dei dissidenti a Cuba?
«Se rispetti il popolo cubano, nessuno ti tocca. Ma se ricevi soldi dall' estero per destabilizzare il Paese, allora vai in carcere».
Sono prigionieri politici?
«A Cuba non esistono».
Cuba è una democrazia?
«La parola arriva dal greco, significa "potere del popolo". Nella nostra isola il potere è nelle mani del popolo».
Un po' poco, l' etimologia: nelle democrazie esistono diversi partiti, a Cuba uno soltanto.
«Il partito comunista è l' avanguardia del popolo e rispetta le decisioni prese dalla gente.
Finché sarà così non ci sarà bisogno di elezioni».