Antonio Castro per “Libero Quotidiano”
Il 90% delle mascherine, dei camici, dei guanti e pure degli schermi protettivi arrivano ancora dalla Cina. Con buona pace di tutti i bei discorsi dei mesi scorsi su autosufficienza, necessità di una produzione nazionale e filiera industriale da riconvertire.
Per la serie: "passata la festa gabbato lo santo", non solo gli staliniani con i mesi estivi hanno mollato un po' l'attenzione al Coronavirus, ma anche le imprese del settore non sembrano marciare alla velocità che servirebbe per rispondere alle esigenze di un mercato che non ha certo esaurito la richiesta di dispositivi di protezione.
BOOM DI RICHIESTE
I dati parlano chiaro: nei momenti di picco di richiesta (da febbraio a maggio, in particolare), sono stati importati dispositivi di protezione (Dpi), per un valore complessivo di circa 1.100.000.000 euro. Ad 2020 è stato riscontrato l'aumento percentuale più alto rispetto al pari periodo del 2019 (+3129%).
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E il 90% degli articoli acquistati provenivano proprio dalla Cina, secondo quanto assicura il centro studi di Assosistema-Confindustria che ha elaborato i dati Istat, per calcolare l'impatto economico dell'emergenza Covid-19 nel campo dei dispositivi di protezione. Assosistema è l'associazione che riunisce in Confindustria le imprese di produzione, distribuzione, manutenzione dei dispositivi di protezione individuali e collettivi e di servizi di sanificazione e sterilizzazione dei dispositivi tessili e medici utilizzati in ambito sanitario e turistico-alberghiero.
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Secondo Assosistema per quanto riguarda invece i dpi per le mani (guanti protettivi e ad uso medicale) nei mesi di febbraio-marzo-aprile 2020 si è registrato un trend di acquisti dall'estero assimilabile a quelli del pari periodo 2019 con un impennata nella curva nel mese di maggio 2020. Si è registrato quindi un aumento rispetto al 2019 del + 39% raggiungendo 120 milioni di euro.
Per quanto concerne invece gli indumenti di protezione (camici sanitari e professionali) si è registrato per Assosistema un aumento del valore complessivo delle merci importate esponenziale da febbraio a maggio 2020. Il mese di maggio 2020 è quello nel quale si è riscontrato l'aumento percentuale più alto rispetto al pari periodo del 2019 (+412%), con un valore pari a 200 milioni di euro.
DOMENICO ARCURI GIUSEPPE CONTE
Con il ritorno di fiamma dei contagi (Francia, Gran Bretagna e Spagna sembrano avanti di qualche settimana rispetto all'Italia), torna quanto mai di attualità la certezza di avere un sistema industriale nazionale per realizzare i dispositivi di protezione individuali necessari. Tanto più che spesso quelli che arrivano dall'estero non passano i controlli di qualità. E quindi non possono vantare la certificazione Ue.
Non a caso l'associazione confindustriale sta tornando alla carica, in Parlamento ma anche con il governo, per un puntuale «pianificazione dei fabbisogni a medio raggio»che consenta al nostro Paese un approvvigionamento di dispositivi certificati correttamente Ce. Tra marzo e aprile molte imprese chiesero di poter riconvertire le più disparate produzioni (dai pannolini ai produttori di calze) per realizzare una vera e propria "filiera nazionale".
L'impossibile
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Ma ai primi bandi pubblici saltò fuori che il prezzo stabilito dal commissario per l'emergenza (Domenico Arcuri), non bastava neppure a giustificare i costi di produzione all'ingrosso. E oggi a qualche mese di distanza gli industriali stanno facendo pressione perché venga messa in piedi una filiera del tessile riutilizzabile per ridurre l'impatto ambientale degli smaltimenti.
Insomma, per l'associazione che riunisce in Confindustria le imprese di produzione, distribuzione, manutenzione dei dispositivi di protezione individuali, il nostro Paese come altri Stati europei « non dovrebbe più consentire l'accesso di materiale non marcato Ce, che non garantiscono i margini di sicurezza per la protezione dei cittadini». riproduzione riservata.
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