1 – AOSTA E IL VIRUS CHE NON SI FERMA
Marco Imarisio per il “Corriere della Sera”
In piazza Chanoux nessuno alza la voce. Alle 11.30 del mattino la protesta annunciata di ristoratori e baristi si svolge sul lato più corto del rettangolo nel centro del capoluogo.
In disparte, quasi a non disturbare, come se tutti fossero consapevoli dell' esistenza di preoccupazioni persino superiori a quelle economiche.
CORONAVIRUS - TERAPIA INTENSIVA
Cinquanta persone, e un silenzio così composto da sembrare fuori luogo. In questa estrema appendice d' Italia usa così, si piange per il crollo del commercio di ogni ordine e genere senza farsi troppo sentire.
Tanto nel resto del Paese ogni cosa arriva attutita, come se fosse avvolta dall' ovatta.
Anche nel mondo a parte della Valle d' Aosta accadono invece cose eccezionali, e purtroppo non nel senso buono dell' aggettivo. La regione più piccola e meno abitata d' Italia è la prima in ogni voce della seconda ondata pandemica.
paziente di coronavirus in ospedale
Con 576 positivi su centomila abitanti, ha la maggiore incidenza di contagio rispetto alla popolazione. Se fosse un dato isolato, sarebbe una curiosità statistica. Ma non è così. C' è anche il più alto numero di decessi in una settimana (7 su centomila), il numero dei ricoveri (60/100.000), e un incredibile cinquanta per cento tra casi positivi e persone testate nell' arco degli ultimi sette giorni.
Nelle undici micro-comunità per anziani, le Rsa pubbliche, 120 ospiti su 319 sono stati colpiti dal virus, cinquantuno dei quali sintomatici. In cima a ognuna delle voci considerate come campanelli di allarme, se non di disastro, c' è la Valle d' Aosta.
Non solo è successo di nuovo, è anche peggio della prima volta. E non ci sono neppure gli sciatori venuti da ogni dove ai quali dare la colpa, come fu nello scorso marzo, quando la decisione di tenere aperti gli impianti fino all' ultimo minuto prima del lockdown fu indicata come la ragione principale dell' alto numero di casi positivi.
La corsa al capro espiatorio non è facile come appare. Anche la vicinanza alla città non è un argomento sostenibile. Il tasso di contagiosità di Aosta, che con i suoi 34mila abitanti non è certo una metropoli, risulta in linea con altre città di pari dimensioni, ed è molto più basso di quello rilevato in paesi e villaggi da poche centinaia di residenti.
Dunque, cosa sta succedendo? L' aumento esponenziale delle positività è cominciato tre settimane dopo l' apertura delle scuole. Altri esperti, come Silvia Magnani, specialista in malattie infettive al Parini di Aosta, l' unico ospedale della regione, puntano il dito sulla vicinanza con Francia e Svizzera.
Il riflesso condizionato induce sempre alla ricerca dell' evento zero, qui identificato nella festa dei coscritti che si è tenuta a fine settembre, una ventina di ragazzi di Verrayes, Chambave e Saint Denis, primi borghi della seconda ondata a essere dichiarati zona rossa, e il terzo lo era già stato nel marzo scorso.
«Siamo la pecora nera, come accadde durante la prima fase, ma tra maggio e ottobre siamo stati anche la regione con meno contagi insieme con il Molise...». Luca Montagnani coordinatore sanitario dell' unità di crisi, risponde alla domanda sulle cause di questa seconda volta con una specie di indovinello. Per lui, la risposta giusta è quella sulla riapertura delle scuole. «E questo vale per tutti». La prova del nove sta nei primi risultati in arrivo dopo la scelta della didattica a distanza per una classe su due delle superiori.
«La curva sembra stabilizzata». Ma anche questo potrebbe valere per ogni altra regione.
Esiste uno specifico valdostano, quasi di natura edilizia.
Ogni villetta ha la sua taverna, dice Montagnani riprendendo un adagio locale. La vita dei valdostani è molto più comunitaria che nelle grandi regioni. Gli stessi luoghi, gli stessi bar, le stesse case per ritrovarsi la sera. Le stesse usanze, come le feste dei coscritti e le sagre.
protesta a napoli contro le misure anti coronavirus di de luca
Il virus non è arrivato dalle classi, le scuole sono state soltanto l' innesco del ritorno a un normale stile di vita quotidiano, a un modo di vivere radicato nelle piccole comunità, e la Valle ha la maggiore densità italiana di Comuni con meno di duemila abitanti in rapporto all' estensione del territorio. Ha funzionato meglio che altrove il tracciamento dei contatti, ma è una magra consolazione, anche perché l' aumento dei test ha fatto inceppare le macchine, il personale scarseggia, e la Usl locale ha chiesto aiuto all' esercito.
L' assessore alla Sanità Roberto Barmasse guarda al bicchiere mezzo pieno, cos' altro può fare. «A prima vista riconosco che i numeri sono tremendi, ma almeno il virus è meno aggressivo, e abbiamo appena nove pazienti in terapia intensiva». All' ospedale Parini però è stato aperto il quarto reparto Covid, i ricoverati sono 115, e mancano i medici. «Ormai non è neppure più così importante capire le cause» dice Montagnani.
CORONAVIRUS - CAMICI PER GLI OSPEDALI
Al raduno dei ristoratori non si respira rabbia ma rassegnazione, un sentimento di lotta impari contro un virus che stravolge abitudini e usanze secolari. «Speriamo che passi la bufera» dicono tutti. Nient' altro. È per questo che l' abituale silenzio di Aosta oggi fa un po' paura.
2 – PIEMONTE, LIGURIA, UMBRIA OSPEDALI A RISCHIO COLLASSO
Mauro Evangelisti per “il Messaggero”
In Valle d' Aosta su 116 posti letto di area medica, 100 sono già occupati da pazienti Covid: l' 86,2 per cento. La piccola regione autonoma non può reggere, tenendo conto che in più ha già 7 pazienti in terapia intensiva su 20 posti disponibili. Vicina al livello di guardia la situazione anche in Piemonte e Liguria: non a caso, insieme alla Valle d' Aosta, a nord-ovest confinano con la Francia dove il virus sta correndo perfino più veloce di quanto stia avvenendo in Italia.
Stiamo parlando sempre dei ricoveri nell' area medica (malattie infettive, pneumologia e medicina), escludendo le terapie intensive dove comunque la situazione, sia pure sotto controllo, in Italia si avvicina a livello di guardia fissato a 2.300 posti occupati (ieri altri 125 letti impegnati per Covid-19 per un totale di 1.536, di questi 292 nella sola Lombardia).
Bene, ma cosa sta succedendo in Piemonte e Liguria nei reparti di area medica? Hanno una percentuale di riempimento sopra il 40 per cento. Nel dettaglio: Piemonte 2.102 letti occupati su 5.061 (41,2 per cento) e Liguria 832 su 1.876 (44,4 per cento). Da notare che il Piemonte è in affanno anche alla voce terapie intensive: ha 135 pazienti Covid ricoverati e una dotazione di 367 posti, siamo al 36 per cento.
Infine, c' è una quarta Regione, che era stata evitata dalla prima ondata, che vede riempirsi velocemente gli ospedali, l' Umbria: qui, secondo i dati del Ministero della Salute, ci sono 218 ricoveri su 662 letti (esclusi i 37 pazienti che sono in terapia intensiva su 70 disponibili).
Stando alle notizie che arrivano da tutta Italia, con i pronto soccorso che spesso si sono trasformati in parcheggi per i malati Covid a causa della difficoltà di reperire tempestivamente i posti letto, non c' è solo l' incognita delle terapie intensive, ma anche quella dei ricoveri nelle altre divisioni di area medica, tenendo sempre conto che con l' apertura di nuovi reparti riservati a pazienti contagiati dal coronavirus si riduce l' offerta sanitaria alle restanti patologie.
I DATI
In sofferenza anche Lombardia, Campania, Lazio, Provincia autonoma di Bolzano e, sia pure in misure minore, Marche, Sicilia e Toscana. Oscillano tra il 30 e il 40 per cento. La Lombardia, in particolare, ha il record di ricoveri: 2.780 su 10.217 letti in area medica e 292 pazienti in terapia intensiva, su una dotazione di posti pari a 983. Ciò che sorprende della Lombardia, che non è comunque vicina alla saturazione, è la rapidità della crescita dei numeri. Solo una settimana fa, ad esempio, aveva 134 ricoverati in terapia intensiva, in così poco tempo sono più che raddoppiati.
Tra le regioni in una condizione meno preoccupante ci sono il Veneto, con meno del 12 per cento dei posti di area medica occupati da pazienti Covid, il Friuli-Venezia Giulia (7,6) e la provincia autonoma di Trento (11). Anche l' Emilia-Romagna, che pure era stata colpita duramente dalla prima ondata, sembra tenere, con una percentuale di occupazione dei letti sotto il 20 per cento in area medica, e 119 pazienti in Terapia intensiva su 635 posti a disposizione (dato diffuso l' altro giorno dal presidente Stefano Bonaccini), dunque la percentuale di occupazione per ora è sotto controllo, al 18,7 per cento.
LA CORSA DI ROMA
Per quanto riguarda Roma, rispetto a Napoli e Milano il quadro è meno grave, ma le difficoltà non mancano. In terapia intensiva, in tutto il Lazio, 166 pazienti Covid, il 22 per cento dei posti disponibili; maggiore affanno nell' area medica (percentuale di occupazione al 29,7 per cento) e per questo si stanno aprendo nuovi Covid-Center. Spiega l' assessore alla Salute, Alessio D' Amato: «Stiamo aggiungendo 900 posti letto di area medica isolati per pazienti Covid. Utilizzeremo a Roma l' intero ospedale Vannini, con 146 posti, due moduli del San Filippo Neri, 126.
Stiamo siglando un accordo con una struttura privata per 160 letti, mentre il Campus Biomedico torna su questa emergenza. Infine, vogliamo creare un hub Covid al Policlinico Umberto I: proprio il vecchio complesso, tanto bistrattato, con i suoi tanti padiglioni separati è perfetto per riservarne una parte ai pazienti Covid. A Palestrina ricaveremo altri 40 letti».