Attilio Barbieri per "Libero Quotidiano"
L'inverno dei consumi di massa, dovuto alla crisi innescata dal coronavirus fa la prima vittima illustre. Sparisce una fetta importante della rete di negozi fisici a marchio Zara. La holding Inditex, cui fanno capo i marchi Pull&Bear, Zara, Stradivarius, Bershka, Oysho, Massimo Dutti e Uterque ha deciso di chiudere 1200 punti vendita sparsi nel mondo.
La migrazione era già iniziata lo scorso anno, complice un calo generalizzato negli acquisti, in atto da tempo. La pandemia ha accelerato lo spostamento verso i canali digitali. Il crollo delle vendite fisiche ha reso non più profittevole un parte non trascurabile dei 7.469 punti vendita, afflitti pure da un caro affitti che aveva reso i canoni di locazione non più sostenibili,già prima che la pandemia azzerasse la clientela per oltre due mesi.
Il colosso galiziano, fondato negli anni sessanta del secolo scorso da Amancio Ortega, l'uomo più ricco di Spagna - con un patrimonio personale di 68 miliardi di dollari - conserva comunque un network di 6mila negozi, per molti dei quali la sorte sembra segnata, anche se non si conoscono ancora i dettagli del riassetto per ora solo annunciato.
INVESTIMENTI CONCENTRATI Da quel che risulta agli analisti del settore Ortega sarebbe intenzionato a concentrare gli investimenti sui negozi collocati nelle vie della moda, in tutte le grandi città del mondo, dove sarebbe potenziato pure il servizio per ritirare i capi ordinati online.
Da definire, invece, la sorte dei punti vendita situati nelle gallerie dei centri commerciali. Grandi o piccoli che siano. La decisione arriva dopo l'annuncio della prima trimestrale chiusa in rosso da quando Inditex si è quotata in Borsa. I primi tre mesi dell'anno sono finiti con una perdita netta di 409 milioni di euro e i ricavi crollati a 3,3 miliardi contro i 5,9 del primo trimestre 2019.
Il 44% in meno anno su anno. Secondo le indiscrezioni pubblicate sull'edizione online di El Mundo, l'obiettivo è quello di far crescere il fatturato online fino al 25% entro il 2022. Resta invece sconosciuto l'impatto della riorganizzazione sulla forza lavoro del gruppo che nel mondo ammonta a 173mila persone. I mercati attendono un annuncio a giorni, ma per ora non è dato sapere quando arrivi.
La strada della digitalizzazione delle vendite è la stessa intrapresa anche dal concorrente diretto di Zara, vale a dire H&M che all'inizio di maggio aveva anticipato l'intenzione di chiudere molti punti vendita. Otto soltanto in Italia. Quelli di Milano e Udine non hanno nemmeno riaperto dopo l'emergenza Covid, mentre dal 9 luglio abbasserà definitivamente la saracinesca il negozio di Grosseto e dal 9 novembre quelli di Gorizia, Vicenza, Bari e Bassano del Grappa. Il mercato dell'abbigliamento è fra i più colpiti in tutto il mondo dai cambiamenti nelle abitudini d'acquisto dei consumatori e i big del settore sono spinti a ridefinire la loro offerta.
GARANZIA SACE PER OVS Per la catena italiana Ovs del gruppo Tamburi, è arrivato invece il disco verde dal ministro dell'Economia Roberto Gualtieri, alla garanzia pubblica attraverso la Sace per l'80% del prestito da 100 milioni di euro erogato da un pool di banche italiane, guidato da Unicredit.
Si tratta della prima operazione chiusa nell'ambito della operatività di Garanzia Italia - lo strumento messo in campo dalla Sace per sostenere le imprese italiane colpite dall'emergenza Covid-19 - attraverso la procedura specifica prevista dal Decreto Liquidità, per finanziamenti in favore di imprese di grandi dimensioni, con oltre 5mila dipendenti in Italia o con un valore del fatturato superiore agli 1,5 miliardi di euro.
Il gruppo Ovs occupa nel nostro Paese oltre 7.600 dipendenti con un indotto di quasi 4.000 persone e nell'ambito del finanziamento ha assunto alcuni impegni, in particolare quelli di gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali per tutta la durata del finanziamento e di non approvare né distribuire dividendi nel corso del 2020. riproduzione riservata.
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